Dopo aver pubblicato Non ci conosciamo più totalizzando più di 30000 ascolti in poco più di un mese, è uscito Siamo Vivi, secondo singolo di Bonetti estratto dal nuovo lavoro che vedrà la luce dopo l’estate. Non singoli dedicati alla quarantena ma ad un concetto che per un laureato in filosofia provoca eccitazioni multiple: il Qui. Bonetti è quel cantautore che non delude mai, che cresce insieme alla sua musica, che canta se ha qualcosa da dire e che muta il suo stile in base al contesto. Un percorso iniziato nel 2015, con un secondo album nel 2018, e un terzo capitolo che non vediamo l’ora di ascoltare. Lo abbiamo raggiunto per un’intervista a metà tra lo spazio e il tempo e un’unica certezza: la nostra chiacchierata è tutta qui.
Innanzitutto ben tornato. Com’è cambiato il tuo stile dall’ultima volta che ti abbiamo ascoltato?
È una domanda super impegnativa perché condensa in poche parole più di due anni di lavoro. In questi due anni mi sono concentrato, come mai fatto in passato, sulla musica scritta, pensata, ma anche cestinata. Perché adesso c’è un disco pronto che è frutto anche di lavoro di pulizia su tante cose che sono state fatte. Stilisticamente sicuramente ha giocato molto il fatto che con Fabio Grande c’era un passato, abbiamo rafforzato un discorso già iniziato. È una cosa che mi ha permesso di lavorare ancora più a fondo sui miei pezzi. Ho ampliato gli ascolti, spaziando in generi che conoscevo marginalmente in modo non approfondito. Con la scrittura, forse anche naturalmente, è emerso ancora di più quel che c’è a fondo. Ho cercato di parlare meno del quotidiano, andando sempre più nel profondo. Parto sempre dal quotidiano, non sono storie inventate, parlo di me in prima persona, della mia esperienza, ma lo faccio trovando un senso altro a quello che poteva capitarmi in quel momento o alla vita di tutti i giorni.
A questo punto chiedertelo è doveroso: cosa significa Qui?
Il Qui è stato fondamentale, è lo scenario su cui si appoggiano tutte le ultime canzoni che ho scritto. È un concetto molto complesso, anche se è una delle parole più corte del dizionario, ha milioni di significati su piani differenti: tempo e spazio. È molto affascinante, racchiude il senso, senza esagerare, delle nostre vite, in un certo spazio e contesto. Esprime il valore della nostra esistenza.

Come nascono le tue copertine? C’è un motivo per il quale sei passato alle foto reali dalle grafiche più disegnate?
C’è un motivo, sì. In realtà è stato tutto molto naturale, sia la copertina del disco vecchio, Domenico Demonte, anche lì in realtà siamo andati avanti con un rapporto nato col disco precedente. Fin dalle prime chat ci siamo spostati al mondo della fotografia, ma forse, e ci sto pensando ora mentre ti sto rispondendo, è un discorso molto legato a quello che ci siamo detti prima, al qui. La foto è l’unico modo per raffigurare l’immediatezza, il contesto, la situazione. Io mi sono innamorato della foto di Non ci conosciamo più, per come esprime anche il contenuto del pezzo. Ci sarà un terzo singolo più avanti e proseguirà su questa strada delle foto con quello stile che adoro: per questo sono molto felice che sia Domenico ad occuparsi delle copertine
Come vive un artista come te, che ha fatto dei concerti uno dei punti fermi della propria crescita artistica, la prospettiva di un’estate senza live?
Non bene, al di là di tutto quello che è successo, l’idea era quella di far uscire il disco in autunno. Mi ero già autoconvinto dell’idea che grandi live non ci sarebbero stati ma sono molto dispiaciuto. L’altro singolo è andato molto bene e ci sarebbero state occasioni anche solo per aperture, partecipazioni. Sono un cantautore di 35 anni, faccio parte di quella generazione che ha bisogno del palco per la chiusura del cerchio. Estate vuol dire anche festival e per chi fa questo lavoro i live sono una delle cose più belle che possano capitare. Spero che per l’autunno le cose possano migliorare, magari in contesti più piccoli e più intimi. Sarebbe già un buon ritorno sulle scene, proprio per quella voglia di suonare che è talmente grande che qualsiasi formula può andar bene. Voglio cantare guardando delle facce davanti a me non solo lo schermo di un computer in qualche diretta Facebook.
A proposito delle dirette Facebook di questo periodo, mi permetto di citarti: “Ormai siamo soldati armati di nulla chiamati a difendere le nostre solitudini”. In un periodo di singoli che cercano di cantare la quarantena, due anni fa avevi già in quadrato il problema del vivere isolati in casa. Oso troppo nel vederci i sentimenti di questo periodo in quel “è guerra”?
C’è sempre una distanza tra chi scrive e chi la ascolta. Io so cosa c’è dietro le mie canzoni e capisco la tua osservazione. Mi fa piacere, è un buon segnale quando le canzoni partono con un motivo e poi acquisiscano altri significati. Ben venga, vuol die che non ha la data di scadenza, e può essere ricontestualizzata. Quella canzone è nata per la fine di una relazione, dopo una convivenza, descrive la casa dopo la fine di una relazione. È ovvio che poi tutti ci siamo trovati a vivere le case come prigioni in questi mesi e in parte può essere quello che ho vissuto quando ho scritto quel pezzo, anche se per altri motivi. Sono contento che le cose vadano avanti e le canzoni abbiano la loro strada e poi arrivano in mano alle persone che vedono e ascoltano quello che vogliono.
Sempre parlando delle tue canzoni. Sarà un’estate di prossimità, alla riscoperta del proprio territorio. E tu nelle tue canzoni parli molto delle città, anche se mi par di capire che non hai un gran rapporto con Novara…
(Ride, ndr) In realtà a Novara ci sono stato due o tre volte, non di più. Ma ci sono passato milioni di volte in treno. Sono di Torino, vivo a Milano. Non parlo prettamente di Novara, ma dell’idea che ho di Novara, avrei dovuto forse parlare di quei non luoghi che conosco bene per quel che riguarda la mia infanzia, avrei potuto parlare di Chivasso, città dormitorio dove si vive per il lavoro per certi ritmi e status ed è difficile trovare sorrisi sinceri. Ma ho scelto Novara un po’ per metrica e per musicalità. Oltre al fatto che Novara esiste, è un simbolo di quei luoghi non luoghi, di cui l’Italia è piena, e che possono diventare anche luoghi esistenziali dove si vive in un certo modo, senza farsi troppe domande o uscire dai binari già decisi e alla fine ci si dimentica un po’ anche di essere vivi. Da qui il senso della canzone.
Chiudiamo con un’immagine fantasiosa. Ti chiama il concessionario di Santhià, e ti concede un camper, per andare dove vuoi a suonare, ma tappa unica. Dove vai?
È difficilissimo, aiuto. Essendo tu appassionato di musica, avrai visto Alta Fedeltà, con le classifiche fatte dal protagonista, come i cinque migliori lati B. E io mi trovo in quella situazione dove cambierei risposta mille volte. Non saprei proprio, mettiamola così, io non volo, ho paura dell’aereo e molti posti non li vedrò mai, e ti direi Berlino, ma forse potrebbe essere una delusione, non essendoci mai stato. Il piano B, è dove sono stato lo scorso autunno, in Bretagna, di ritorno da Dublino dove sono stato per trovare un amico. In quel paesino ci sono stato per dormire una notte, è stato bellissimo, affacciato sul mare, con pochissime persone e pochissime case. Sarebbe molto romantico, un bel concertino al tramonto. Sì, sarebbe bello, abbiamo sia il piano A che il piano B.
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Una risposta a “BONETTI: STORIA DI UN CANTAUTORE CHE LASCIA IL QUOTIDIANO PER STARE QUI”
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