DEEP DIVE TRACKS: Vienna – Se Voglio Salvarmi La Vita

Anticipato dai singoli “Come la primavera” e “Se voglio salvarmi la vita”, il nuovo EP di Vienna è un viaggio introspettivo alla ricerca di un equilibrio interiore, in cui ogni brano ne rappresenta una tappa fondamentale: fermarsi, ascoltare le proprie emozioni, fluire con gli eventi, comprendere le proprie paure e la radice dei propri trigger e il desiderio di non “mandare tutto all’aria”.
Ci siamo fatti raccontare da Vienna come si è sviluppato il processo creativo del suo nuovo lavoro discografico e come ha vissuto il suo percorso di crescita personale tramite cui ha raggiunto la consapevolezza di essere l’unica persona responsabile della propria vita, anche quando il controllo di questa sembra sfuggirle di mano.

SE VOGLIO SALVARMI LA VITA
“Se voglio salvarmi la vita” è l’inizio di un percorso che paradossalmente invita a fermarsi, a respirare e prendersi il proprio tempo. Delle volte ci affanniamo, la società in cui viviamo ci insegna che per valere qualcosa, per ottenere qualcosa, bisogna essere sempre in movimento. Muoversi, camminare, fare dei passi, è sicuramente essenziale, ma spesso è difficile comprendere e mettere in atto che il movimento non è sempre visibile.
Delle volte per andare avanti è utile stare fermi qualche minuto, per capire dove si è, piantare una bandierina nel terreno, viversi quel momento, quella vittoria, quella sofferenza. Questo è il brano che abbraccia tutti i concetti contenuti nelle altre canzoni e, anche per questo, dà il nome all’EP. È un mantra da ripetere a se stessi, il titolo di un elenco puntato di azioni volte a volersi bene: fermarsi, ascoltarsi, arrendersi, affrontare le cose e lasciarle andare. È un brano che ha avuto un processo creativo molto particolare, che con Diego abbiamo sperimentato per la prima volta in quell’occasione: avevo tra le mani la maggior parte dei brani che immaginavo all’interno dell’EP, ma mancava qualcosa, un incipit, una specie di collante. Il primo giorno in cui io e Diego ci siamo visti per iniziare le produzioni, invece di partire da un brano già pronto a livello di songwriting, abbiamo deciso di fare session libera.
Lui produceva e io scrivevo, lavorando in sinergia e allo stesso passo. Ad un certo punto ho scritto “devo fermarmi se voglio salvarmi la vita”. Ci siamo fermati entrambi e abbiamo capito che quel collante che cercavo, era contenuto in questa frase. Era l’ultima cosa che avevo bisogno di dire e quella che poi è diventata manifesto dell’intero EP.

STOMACO
Qualche anno fa ho tatuato la scritta “respira” sulla pancia, all’altezza dello stomaco, come se avessi bisogno di dare aria alle sensazioni che avvertivo in quel punto. Ogni emozione che proviamo, la sentiamo nella pancia, all’altezza dello stomaco. Dalle farfalle dell’innamoramento alla paura. Rappresenta la differenza tra ciò che riflettiamo all’esterno e ciò che avvertiamo dentro, che nel brano vengono rappresentate a livello sonoro da cambiamenti repentini ma bilanciati nel mood. A me è successo tantissime volte di non riuscire a gestire questi due lati, non sempre sono stata sincera con ciò che avevo all’esterno e questo mi faceva avvertire una contraddizione enorme. Poi ho capito che il modo in cui mi comportavo fuori rappresentava tutto ciò che non volevo vedere di me stessa.
Allo stesso tempo, l’accumulo di tutte le emozioni inespresse o espresse male, dalla testa e dalla gola, avevano un buco sotto che portava dritto allo stomaco. E quindi nello stomaco si annidavano tutte queste voci spesso in contrasto tra loro, spesso equilibrate, ma comunque troppe. Le voci sono il coro di cui parla la canzone, e che abbiamo realmente voluto inserire all’interno del brano (altro esperimento di produzione di cui vado fierissima).
Ad un certo punto quindi è diventato impossibile evitare di ascoltare ed affrontare quelle emozioni, direi anche per fortuna.

tutte le foto: Antonio Zappulla

COME LA PRIMAVERA
Questo è il brano meditativo per eccellenza di tutto l’EP. La meditazione è un aspetto fondamentale della mia vita e del mio percorso di guarigione, insieme alla psicoterapia. Una delle prime cose che ti insegna la meditazione è a “stare”. Stare nel momento presente, nelle proprie sensazioni, accoglierle e in un certo senso ad arrendersi. Non in senso negativo, ma nel senso di respirare, di accettare che abbiamo potere solo sulla nostra vita e non su quello che incontriamo durante la nostra vita. Tutto ciò che ci accade, ci influenza, ed è davvero complesso fingere che qualcosa non sia accaduto, tentare di andare nella direzione opposta rispetto ad una corrente che è sicuramente ignota, ma magari migliore di ciò che immaginavamo.
Il presente, tra passato e futuro è forse l’unica cosa su cui abbiamo un briciolo di controllo, e per me è stato essenziale scontrarmi con questo concetto. Prima la mia attenzione era rivolta solo alle ansie del futuro e gli aspetti negativi del mio passato. Poi ho capito che potevo scegliere se obbligarmi alla corrente opposta, soffrendo come una matta, oppure assecondare alcune cose su cui non avevo (e non ho) controllo e vedere dove mi stavano portando. Ogni cosa brutta che mi è successa nella vita mi ha dimostrato la sua utilità e il suo tempismo a posteriori.
Anche in questo caso, nella produzione abbiamo voluto assecondare la contraddizione che avvertivo, il tentativo, come se ogni “dimmi tu come si fa” fosse l’occasione per sperimentare una strada diversa, per arrendermi a diverse evoluzioni.

DOMANDE // TRIGGER
“Domande // Trigger” è un brano che per terminare di dire tutto ciò che voleva dire ci ha messo più di un anno. È diviso in due sezioni complementari, scritte in due momenti diametralmente diversi: Domande è la paura di amare e amarsi, il non riuscire a comprendere e comunicare le proprie sensazioni. Non mi sono mai spiegata molte cose della difficoltà che avvertivo nelle relazioni sentimentali. La paura, il non riuscire a godermi le cose, la distanza che avvertivo e che nascondevo dietro la voglia di indipendenza.
Di solito, se in una canzone (mi) espongo delle domande a cui rispondere, non la chiudo finché non ho quelle risposte o parte di esse. Quindi l’ho chiusa a “la butto giù e la riempio di domande”. Volevo inserire una serie di domande che avevo in testa e provare a risponderci, ma non ce la facevo e l’ho lasciata aperta. Abbiamo deciso di produrla comunque.
Infatti la seconda parte, Trigger, è nata direttamente in produzione. Sapevamo che sarebbe arrivato il momento in cui ci saremmo guardati in faccia senza sapere come sarebbe potuta proseguire. Invece abbiamo sentito l’esigenza di cambiare tutto in quel punto, in quel passaggio, come se fosse un prima e dopo, da un anno all’altro. Trigger è la consapevolezza che il problema di amare non deriva dall’amore, ma da una serie di fattori, comportamenti ed emozioni di cui probabilmente nemmeno abbiamo contezza e memoria. Sensazioni che si attivano (appunto, i trigger) e che non sappiamo a cosa fanno precisamente riferimento. Il nostro cervello spesso registra le emozioni provate durante un avvenimento più che l’avvenimento stesso. Quindi spesso succede di attivarsi e non sapere nemmeno il perché. Questo brano è la lista di alcuni comportamenti che vengono a galla quando si ha la forza di comprenderli ed affrontarli, e si conclude con una forte dichiarazione nei confronti di se stessi: “non voglio morire e mi viene da ridere”, che può significare tantissime cose e che forse è la cosa più impattante che abbia mai detto a me stessa.

I GIRASOLI SONO DEI FIORI COME TUTTI GLI ALTRI
Ho scritto “I girasoli sono dei fiori come tutti gli altri” quando ho letto per la prima volta una delle leggende sui girasoli. Narrava che il corpo di Clizia, innamorata del Sole, si irrigidì piangendo davanti al suo rifiuto e si trasformò in stelo, e così i suoi piedi in radici, e la sua intera figura in uno splendido girasole. Può sembrare uno splendido concetto e probabilmente lo è. Ma quando l’ho letta, ho pensato che io non volevo stare in quella condizione, piantata nella terra osservando sempre la stessa cosa.
È utile guardare in faccia ciò che ci fa bene, ciò che ci fa male, ma ad un certo punto è utile saper lasciare andare, prendersi cura di sé, avere contezza di ciò che abbiamo attorno ma senza la costrizione a rivolgere lo sguardo sempre nella stessa direzione.
Ero arrivata alla fine di un tunnel in cui finalmente vedevo la luce, e la luce non corrispondeva al sole, ma al mio finalmente concreto tentativo di distaccarmi da qualcosa e iniziare a volermi bene.
Ho scritto questo pezzo di getto, senza cambiare nemmeno una virgola dalla sua prima stesura. Abbiamo voluto dargli lo stesso vestito di quando è nata, lo stesso pianoforte e la stessa stanza. Quando abbiamo registrato la voce, non riuscivo a smettere di piangere. Abbiamo voluto lasciare quella traccia, compreso il momento in cui Diego (che oltre ad essere il mio producer, è uno dei miei migliori amici) è venuto a recuperarmi dalla sala di incisione in condizioni pietose. Abbiamo voluto lasciare tutto, tutta l’autenticità di una traccia che per noi è intoccabile, su cui né io, né Diego, né Giuliano siamo riusciti a intervenire, ci sembrava quasi di farle un torto.
È una conclusione sincera e diretta, che meglio non poteva esprimere il rilascio emotivo alla fine di un viaggio interiore così intenso.

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