“Se questo è crescere” è il primo disco dei Flowers for Boys, un album che esplora il senso di perdersi mentre si prova a diventare grandi. Otto tracce che oscillano tra rabbia e delicatezza, un alt-rock che si tinge di emo e lascia intravedere echi di post-punk, senza mai temere di graffiare o di emozionare.
Un disco che si muove su due piani: da un lato l’istinto, il corpo, l’urgenza quasi animale; dall’altro la riflessione interiore, più dura e complessa da digerire. Tra smarrimento e malinconia, resta sempre viva una scintilla di speranza.
Abbiamo chiesto alla band pugliese di raccontarci tutti i brani che compongono l’album, sviscerandoli dal punto di vista dell’autore.
1. QUELLO CHE MI PARE
Un’apertura senza filtri: la voglia di scappare dalle aspettative degli altri e dai ruoli preconfezionati. È un pezzo che celebra l’impulso puro, il diritto di fare a modo proprio, anche quando questo porta stanchezza e peso addosso. Suona come un respiro liberato, sporco e necessario.
2. FRAGILE
È il manifesto della confusione. Un brano che racconta il sentirsi sempre in bilico, mai all’altezza, intrappolati tra l’immagine che gli altri hanno di noi e la realtà più scomposta, piena di agitazione e incertezze. Un inno alla fragilità gridata a voce alta, con le chitarre che si fanno ferite aperte.
3. VA BENE COSÌ
Il disco trova qui il suo lato più consolatorio: accettare di non essere interi, accettare che nemmeno gli altri lo siano. “Va bene così” diventa quasi un abbraccio collettivo, un invito a perdonarsi, cadere e rialzarsi. Le cicatrici restano, ma invece di coprirle diventano parte della storia.
4. LASCIA
Un brano che suona come una resa apparente, ma che in realtà è resistenza. “Lascia” è il coraggio di mollare ciò che fa male, l’atto di autodifesa che diventa libertà. Non è debolezza: è un atto di forza, una presa di posizione netta, un manifesto di sopravvivenza.

5. COME STAI
Una domanda semplice che si trasforma in ancora di salvezza. Il pezzo esplora la possibilità di una connessione autentica che annulla distanze e differenze. Nel caos dei rapporti umani, “Come stai” diventa un appiglio sincero, la prova che capirsi è possibile proprio dove meno lo si aspetta.
6. POLAROID
Qui il ricordo diventa immagine fissa: una foto che conserva un noi che non esiste più. Ma il presente non regge quella cornice: risposte fredde, litigi e promesse di felicità mancate. È il brano più nostalgico, quello in cui la malinconia non cerca scampo ma resta impressa come un’immagine che non sbiadisce.
7. DALLA STESSA PARTE DEL VENTO
Un pezzo che apre uno spiraglio di speranza. L’utopia di smettere di ferirsi con le parole, il desiderio di ritrovarsi comunque dalla stessa parte, spinti dallo stesso vento. È una canzone che parla di conflitti, ma lascia intravedere una riconciliazione possibile.
8. CI HO PROVATO (NON È UNA COLPA)
La chiusura del disco è un saluto disincantato: tentativi, fallimenti, rimorsi ormai azzerati. Qui non c’è condanna, solo la constatazione che a volte per sopravvivere bisogna anestetizzarsi un po’. Una fine lucida e amara, ma anche tremendamente onesta.

