DEEP DIVE TRACKS: Pietra Tonale – Disco Uno

Musica rupestre contemporanea che segna un ritorno al segno originario, condiviso e comunitario: “Disco Uno” è il primo album di Pietra Tonale, collettivo musicale torinese con un organico fluido di più di venti musicisti e musiciste che esplora il confine tra gesto libero e struttura, tra suono e significato.

L’album è un’incisione sonora realizzata interamente in autonomia, frutto di anni di sperimentazione e incontro tra diverse anime. Il risultato è un paesaggio sonoro eclettico che mescola art-pop, alternative-rock, squarci noise ed elettronica rapsodica, mentre una voce canta in lingue a tratti sconosciute, evocando memorie e futuri, in un presente da riscrivere insieme.

Ci siamo fatti raccontare dal collettivo torinese tutti i brani che compongono il nuovo disco:

DEVOTION

“Devotion” è il brano che più si avvicina alla forma canzone all’interno del disco. L’idea originaria è di Giulia Impache, che ha scritto la melodia, l’arpeggio e il testo. Gli arrangiamenti, curati da Simone Farò, creano una distesa sonora costruita per accompagnare il movimento della voce, con archi e synth pad che restano volutamente statici, quasi a voler lasciare spazio alla dimensione emozionale del canto.

La struttura alterna due sezioni – che possono essere intese come strofa e ritornello – e uno special centrale con modulazioni armoniche. A livello narrativo,
“Devotion” è pensato come un’invocazione, o meglio, come un esergo: un’introduzione ideale alla devozione che muove tutto il collettivo Pietra Tonale, ovvero la musica stessa.

L’invito è chiaro, quasi mistico nella sua semplicità:
“Cerca di sentire, cerca di capire le tue emozioni; prova la tua devozione”.

Un brano che si offre come apertura e come atto di fede.

SELCE

“Selce” è un’ode elettronica minimale ispirata al minimalismo americano, alla poliritmia di Donato Dozzy e alla voce sospesa di Franco Battiato. Il brano è dedicato a una delle pietre più antiche usate dall’uomo: la selce, appunto. Un materiale tagliente e fragile, ma facilmente lavorabile, che ha rivoluzionato la storia umana trasformandosi in arma, pietra focaia, utensile. La sua semplicità primitiva l’ha resa un simbolo di un’era geologica e culturale.
Ma c’è di più: la selce è ancora nelle nostre tasche. Nella sua forma più raffinata, è silicio. Ed è proprio da lì che prende il nome la Silicon Valley. Quello stesso materiale, un tempo usato per accendere fuochi, oggi è il cuore dei nostri smartphone, computer, chip. Il passato e il presente che si fondono in un solo elemento.

“Selce” costruisce un ponte tra questi due mondi: l’antico e il tecnologico, la materia e il suono. Pietra Tonale traduce in musica questa continuità con una struttura essenziale, ma stratificata, che restituisce tutta la densità simbolica di una pietra che ha accompagnato l’umanità per millenni – e continua a farlo, silenziosamente, dentro ogni dispositivo elettronico.

 

 

SAR OH DEDIDA

“Sar Oh Dedidah” nasce da un’intuizione di Giulia Impache, in un dialogo con Guglielmo Diana in cui affermò: “Devo andare a vivere al mare per stare bene”. Da lì, l’idea di dedicare il brano all’aria, elemento che soffia, sfiora la bocca e accarezza le onde.
Il brano è firmato da Jacopo Acquafresca, con un arrangiamento a più mani. La prima parte – curata da Simone Farò – costruisce una texture sonora eterea e sospesa, che sostiene la linea vocale con leggerezza lirica. È una forma musicale che evoca il simbolismo, pensata per “camminare in punta di piedi su un velo d’acqua”, prima di dissolversi in un riempimento risoluto e sentito.
La seconda parte del pezzo, invece, è frutto del lavoro di Jacopo Acquafresca e Andrea Marazzi, che introducono un loop variato in forma di ritornello, in contrasto con l’articolazione iniziale. Il titolo resta volutamente misterioso, quasi a proteggere la fragilità simbolica del brano.

 

 

PERTICORE

“Petricore” è firmato da Simone Farò e Filippo Gillono. All’origine c’era l’idea di costruire un brano modulare che funzionasse come intermezzo durante il concerto di Pietra Tonale per l’edizione 2022 di Jazz is Dead. Doveva essere uno “zenzerino”: un piccolo sorbetto sonoro per “sciacquare la bocca (e le orecchie)” del pubblico tra un brano e l’altro.
Il titolo iniziale era “Zenzero”, e da lì derivano le sue mutazioni: Ronze, Ronzeze, Zero Zen“Petricore” è una di queste varianti. Ha un carattere nervoso, rapido, quasi punk, con una forte attitudine noise. La struttura si basa su una melodia di otto note, che nella prima sezione è esposta dagli archi e, nella seconda, viene riproposta al contrario – un retrogrado esatto – seguendo la tecnica del ritmo non retrogradabile teorizzato da Olivier Messiaen.
Nella parte finale, il materiale melodico si sviluppa in verticale: accordi acidi e cluster orchestrati tra fiati e archi costruiscono una vera e propria rovinosa caduta sonora.
È un climax orchestrale che precipita, mentre le chitarre intraprendono una vertiginosa ascesa cromatica lungo l’intero manico. La discesa e la salita si intrecciano, creando un equilibrio caotico e serrato. Il tutto è frenetico, conciso, senza riverbero.
La reverb police era in azione.

 

RONZEZE

“Ronzeze” nasce da un’improvvisazione durante le prove del tour 2022. È la cristallizzazione sonora di una ripetizione ossessiva, un loop desertico e meccanico che si fa narrazione. La scena si apre su una creatura immensa fatta di ferro e circuiti, che si alza con fatica sulle sue quattro zampe incerte. Attorno: dune e silenzio. Una visione che sembra uscita da Dune di Frank Herbert, ma privata di ogni mito, di ogni speranza. Un mondo disabitato, attraversato da un essere solitario.

Il suo cammino è lento, affranto, privo di direzione. Una marcia destinata al fallimento. Alla fine, il corpo metallico si sfalda: ruggine, circuiti, sabbia. Una caduta titanica. In un’epoca dove le grandi narrazioni sono finite, resta solo questo: camminare e disgregarsi.
Il brano riprende e trasfigura il materiale di “Petricore”, rallentandolo fino a renderlo ipnotico. L’arrangiamento – realizzato di notte da Luca Neri e Simone Farò, tra delirio alcolico e visioni meccaniche – è ispirato alla musica elettronica da dancefloor e ai grandi festival, retaggio anche dell’esperienza al Fusion Festival 2022. Gli strumenti entrano ed escono come loop sintetici, mentre la voce di Giulia appare come un’entità misteriosa, prossima e lontana allo stesso tempo. Canta in una lingua inventata, in un idioma senza dizionario, che apre il brano a un territorio poetico altro, primitivo e alieno. Una lingua senza storia, come il cammello che avanza e si sfalda, senza mai arrivare.

 

 

MELODIA 2

“Melodia 2” nasce da una collaborazione tra Simone Farò e Ignazio Morabito, come sviluppo del materiale musicale di “Melodia 1”. In origine doveva aprire il disco, ma in fase di definizione della tracklist è stata collocata altrove, lasciando invariato il numero nel titolo: un piccolo cortocircuito formale che Pietra Tonale ha scelto di conservare, come segno del processo creativo in continuo mutamento.

Il brano contiene reminiscenze del secondo movimento di “Orcheistai”, una delle prime opere del collettivo, e trae ispirazione anche dalla scrittura armonica e ritmica di Alberto Ginastera – in particolare dalla Danza del Trigo della suite Estancia.
Ignazio ha proposto l’inserimento di una sezione B modulante, pensata per valorizzare il lirismo del corno in dialogo con il flauto. Il brano si chiude con una cadenza del violino intima e sospesa, che riflette e trasfigura il finale di “Melodia 1”, dove lo stesso gesto era affidato a un poderoso unisono orchestrale.
Qui, invece, è come sbirciare in un altro mondo: più lontano, più silenzioso. Un preludio a ciò che ancora non è.

 

IN ITERPO ELO

“In Iterpo Elo” è un brano scritto da Jacopo Acquafresca e Giulia Impache, dedicato a Bob Dylan e ispirato alla semplicità e bellezza essenziale della sua scrittura, così come a quella del chitarrista e compositore Jakob Bro.

È forse l’unico brano di Pietra Tonale che non presenta alterazioni o modulazioni melodico-armoniche. Il suo sviluppo è stato lungo e instabile, senza mai un vero inizio definito, riscritto più volte fino alla versione definitiva. L’idea portante del finale è quella di un esaurimento fisico ed emotivo: una chiusura disgregata, noise, che rivela il lato più crudo del collettivo e richiama le atmosfere della scena post-rock adolescenziale di Jacopo, in particolare Godspeed You! Black Emperor.
Il testo, invece, si rifà al cantautorato italiano anni ’70, con un riferimento diretto a Sergio Endrigo. L’arrangiamento è stato curato da Simone Farò, che ha costruito un crescendo orchestrale culminante in un solo di tromba considerato da lui stesso l’apice espressivo del disco. Inizialmente sommerso da altri elementi, l’assolo è stato riscritto e rilanciato con forza grazie a un intero chorus dedicato. Il contrappunto tra archi e corno sostiene il suono malinconico e solenne della tromba di Beppe Virone, interprete chiave di questo momento.

 

 

NAP

“Nap” è una breve composizione per trio d’archi scritta da Simone Farò. È un interludio statico e sospeso, nato durante la lavorazione di “Petricore”, ma sviluppato in autonomia fino a trovare un’identità propria all’interno del disco.

La scrittura è semplice, quasi scarna: poche note, tempi dilatati, armonie ferme. È un momento di stasi meditativa, come una parentesi di silenzio consapevole nel flusso del disco. Un luogo in cui non accade nulla, ma proprio per questo accade tutto: l’ascolto si concentra, si apre, si ferma.
Il titolo rimanda al sonno breve, alla pausa rigenerativa, ma anche alla dimensione inconscia dell’ascolto. È un respiro tra due momenti di intensità, una fenditura nel tempo musicale.
Un invito a dormire a occhi aperti.

 

AIX TO MUN

“Aix To Mun” è un brano scritto da Jacopo Acquafresca. La sua parte finale è stata arrangiata da Simone Farò, che aveva inizialmente previsto anche l’inserimento di una sezione di fiati per estendere l’armonia. L’idea era quella di creare una sorta di doppio coro con caratteristiche armoniche vicine al pop, capace di ampliare l’intensità emotiva del pezzo.
Durante la fase di mixaggio, si è deciso di optare per una forma più asciutta e diretta, eliminando i fiati e lasciando spazio agli archi. È un esempio del metodo di lavoro del collettivo: un processo sottrattivo in cui ogni scelta viene pesata e discussa per valorizzare l’essenziale. Come scrive Farò, “quello che sentite è sempre il risultato di un processo sottrattivo, guai se non fosse così!”
Una riflessione che restituisce bene l’identità di Pietra Tonale: tanti musicisti, molte idee, e la consapevolezza che l’equilibrio si trova spesso nel togliere, non nell’aggiungere.

 

 

MELODIA 1

“Melodia 1” è il brano che chiude il disco. Fu scritto per una performance in Piazza Foroni, nel periodo in cui Pietra Tonale aveva appena avviato la propria esperienza di Casa Tonale nel quartiere Barriera di Milano, a Torino.

Il titolo originale era “Wavescape” e la melodia è stata costruita seguendo il principio delle aree intervallari, una tecnica appresa da Beppe Virone. Il modello d’ispirazione dichiarato è Jardin du Sommelier d’Amour di Olivier Messiaen, compositore spesso evocato dal collettivo.
La possibilità di orchestrare il brano arrivò in occasione dell’edizione 2022 di Jazz is Dead, e inizialmente era stato pensato per aprire la tracklist del disco. Poi, in fase finale, Andrea ebbe l’intuizione di spostarlo in chiusura, ribaltando il senso d’ascolto. È una delle forze di Pietra Tonale: stupirsi e riscoprirsi anche nelle cose che sembrano ovvie. Nulla lo è.

“Melodia 1”
diventa così il punto di sospensione finale: un paesaggio armonico, fragile, teso tra gli archi e le tastiere, che resta lì come un filo sottile verso ciò che sarà.
Forse un secondo disco.
Forse no.
Ma l’ultima nota resta aperta.


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