È da poco uscito “Supervintage Disco Rave”, il secondo album di Mille Punti interamente prodotto da Bruno Belissimo. Scritto e registrato a distanza tra Bologna e Milano durante il 2020, il nuovo disco è una fotografia di un momento di stravolgimento assoluto: dieci tracce in cui la cassa dritta e i suoni disco house si intrecciano a liriche profondamente personali, estremizzando una dicotomia già caratteristica del primo album Retrofuturo.
Un sound dritto e potente sempre più votato al dancefloor combinato a testi che mettono a nudo tutte le paure, le ossessioni e le passioni di Mille Punti.
In occasione del release party di sabato scorso al Magnolia, abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con l’artista milanese già noto nella scena come chitarrista dei Revo Fever.
Tre anni dopo il tuo primo disco, quest’anno è uscito Supervintage Disco Rave. Che cosa è cambiato rispetto a Retrofuturo? Possiamo dire che il primo era forse un album più romantico?
Penso che sia cambiato un po’ tutto perché in mezzo è stato sconvolto il mondo intero ahahah.
Diciamo che il punto di partenza di base era già diverso, ossia fare un album più improntato al dancefloor e quindi più orientato verso sonorità house/dance. Sicuramente mi sono allontanato dall’elemento “cantautorato anni ’70” che caratterizzava Retrofuturo, che forse è l’aspetto che te lo faceva sembrare più romantico, anche se non ho mai considerato “romantici” i miei pezzi eheh
Supervintage Disco Rave è ricco di intimità: si parla di nostalgia, di voglia di libertà e della sensazione, provata da molti, di vivere di ricordi piuttosto che pensare al momento attuale.
Qual è il messaggio ultimo del tuo album?
Minchia, domanda da 100 milioni di dollari ahahaha! Non ho mai pensato a un “messaggio ultimo” nei miei pezzi, ma dopo questi due anni in cui il mondo della musica è stato messo in stand by, umiliandolo, sono arrivato a pensare che il vero messaggio del disco arrivi più dal suono che dai testi: il senso di quello che faccio nella mia vita passa attraverso la condivisione di musica in un luogo fisico, con persone fisiche.
Penso che si debba valorizzare tutto ciò: è la mia missione.
I giorni normali ti uccidono perché come il Libanese di Romanzo Criminale hai bisogno di emozioni forti?
Sì esattamente! Sono insofferente a quei periodi in cui tutti i giorni si susseguono uguali, anche se l’analogia col Libanese di Romanzo Criminale è più legata alla somiglianza fisica, per cui la gente mi soprannomina “Libano”
Com’è nata la collaborazione con Bruno Belissimo? Quale plus ha portato al tuo progetto?
Ci conosciamo da un bel po’ in realtà, è stato buffo perché non avevo mai pensato a una collaborazione tra noi due nonostante suonassimo generi molto simili e ci conoscessimo già bene. Poi quando ho iniziato a lavorare a questi pezzi volevo dargli un po’ più di “pacca”, volevo che suonassero bene anche se inseriti in un dj set: il nome di Bruno mi sembrava perfetto per gestire questo cambio di rotta e così è stato. Mi ha proprio insegnato a lavorare sui pezzi con un approccio molto più diretto, senza perdersi in mille menate. Se devi far ballare la gente non puoi andare tanto per il sottile, devi essere subito coinvolgente.
Da dj a cui piace molto mixare disco e nu disco, mi dici tre protagonisti degli anni 70 che secondo te sono assolutamente da approfondire?
Beh io sono un grande fan di Carella, idolo indiscusso che ha raccolto mooolto meno di quello che ha seminato (anche se i suoi pezzi sono difficili da inserire in un dj set). Poi Pino D’Angio, che invece ha scritto canzoni che non sfigurano anche oggi in un set disco/nu disco. Infine Pino Daniele, che non ha bisogno di presentazioni ma che spesso viene citato solo per i suoi pezzi più famosi.