“Adouna” è il nuovo EP di F.U.L.A., otto tracce che raccontano una storia unica che va dalla Calabria, passando per Milano, per le banlieu di Pikine, fino alle coste di Dakar.
F.U.L.A., nome d’arte di Oumar Sall, è un giovane artista classe ’93 italo senegalese. La sua musica è un miscuglio di diverse influenze, in particolare quelle della musica afro, e un ponte tra la cultura italiana e quella senegalese. Il suo ultimo progetto uscito è l’EP Adouna (che in italiano vuol dire “vita“), un lavoro di 8 tracce che raccontano la sua storia e rappresentano le tappe di un viaggio che parte dalla Calabria.
Il Tuo EP “Adouna” è fuori dall’11 giugno. Come sta andando?
Che feedback stai ricevendo?
Il progetto è stato completato ancora due anni fa, ci ha messo un po’ ad uscire causa Covid che ha stravolto tutto e nel frattempo stavo firmando con l’etichetta LaPop. Tutto quello che è raccontato nell’EP sono esperienze che sentivo di dover raccontare, come ad esempio il mio ritorno in Senegal dopo 13 anni, il mio rientro in Italia con un’altra consapevolezza. In Senegal ultimamente ho avuto la fortuna di esibirmi e di poter suonare in giro le mie canzoni; nonostante ci sia una barriera linguistica con i senegalesi che non capiscono l’italiano, la gente ha risposto molto bene, e a me piace sempre mischiare le culture per fare da ponte. Abbiamo suonato al Dakar Music Expo organizzato da Youssou N’dour, il più grande artista senegalese, mentre ora sono di ritorno da altre tre date con altri artisti senegalesi affermati, con cui sto facendo tanta nuova musica. Non sono uno che limita la propria arte o la propria scrittura, mi piace sperimentare molto e uscire dagli schemi. Io vengo dal rap e ho frequentato rapper che facevano della cifra stilistica il loro cavallo di battaglia, per esempio Mirko Kiave che considero uno dei miei maestri. Anche in Italia c’è del riscontro positivo, sta arrivando più consapevolezza del mercato internazionale e anche africano (vedi artisti come Burna Boy) e sono felice che i ragazzi che mi seguono stiano apprezzando.
Questo EP racconta un viaggio, sia metaforico che proprio fisico, dall’Italia al Senegal. Per te cosa rappresenta questo? Cosa vuoi trasmettere?
Io sono andato in Senegal non per fare questo disco, ma per conoscere meglio la mia famiglia e stare di più con mia madre, oltre a conoscere meglio la mia cultura. Io purtroppo per vari motivi sono stato lontano per molto tempo dalla mia famiglia e quindi sentivo il bisogno di riavvicinarmi. Venendo qui mi sono trovato coinvolto nelle varie jam tipiche senegalesi che organizzano qui nel mio paese, belle situazioni che generano belle vibes; i miei nipotini che erano con me mi hanno tirato in mezzo ed ero completamente impacciato. Immagina me cresciuto in Italia che mi ritrovo in mezzo a un cerchio di africani che ballano veramente bene, un po’ ti vergogni (ride, ndr). Dopo però la vergogna è passata e ho pensato che potevo portare queste esperienze all’interno della mia musica. Ai tempi facevo musica veramente rap, avevo realizzato un disco che poi non è più uscito e in quel periodo stavano uscendo Sfera Ebbasta e gli altri e sentivo che l’hip hop si stava evolvendo: non bastava più fare il solito boom-bap e servivano nuove skills come saper cantare. Così ho portato tutto il mio bagaglio di esperienze acquisito in Africa, dalle sonorità afro allo stile nella mia musica. Ho preso spunto dalla mia vita, dalle cose positive e negative. Mi son detto che volevo proprio raccontare questo viaggio. Tornato in Italia ho conosciuto la mia attuale manager ed è cambiato tutto perchè ho iniziato a considerare la musica come un lavoro. Volevo fare qualcosa per me stesso e per la mia comunità tramite la musica, così mi sono trasferito a Milano dove ho conosciuto il mio beatmaker. A Milano hai più possibilità di trovare opportunità e conoscere artisti: magari per strada trovi Laioung o anche Emis Killa che si fermano a fare freestyle per strada e tu puoi misurarti direttamente con loro. In Calabria, da dove arrivo, invece non c’è una rete, ci sono serate dislocate e la gente litiga tra loro senza creare una scena unita. Dopo un anno dal mio ritorno in Italia ho firmato con la label LaPop che mi ha lasciato assoluta libertà sulla mia arte, dopodiché sono rientrato in Senegal per chiudere Adouna. È stato quindi molto importante questo viaggio per riuscire a racchiudere tutte queste esperienze all’interno del disco. Inoltre quando sono in Africa sento che posso aiutare di più la mia gente. Qui ti dico che ci sono diverse problematiche: molte donne che si ritrovano come terza o quarta moglie di qualcuno che le ha sposate solo per sfizio, le poche possibilità economiche, il fatto che siamo stati indipendenti sulla carta ma di fatto no, il colonialismo industriale. Tutto questo mi ispira a fare sempre di più, mi dà tante cose di raccontare, mi fa vedere la realtà più nitida. La mia musica è molta diretta, c’è tutta la mia vita e i problemi che vedo dentro, e voglio che chi mi ascolta rifletta. Poi devo dire che qui in Senegal trovo più ispirazioni perchè tutto più “freestyle“, più “live“, cioè che devi dimostrare dal vivo che vali e ti sbatti e da ciò crei legami più facilmente con altri, per esempio ho conosciuto artisti locali che fanno numeri pari a big italiani, e il giorno dopo erano in casa mia ad aiutarmi a lavare i piatti (ride, ndr). In Italia fare questo è più difficile, perchè tutti cercano sempre il profitto in ogni situazione. Di recente ho realizzato qui un video di un pezzo con Frank Sativa che è venuto qui in Senegal e ho visto che stando qui il rapporto è stato più facile, ci siamo ridimensionati entrambi.
Nella tua musica ci sono appunto molte influenze in particolare afro. Pensi che questo possa rivelarsi anche un limite? Magari gli ascoltatori in Italia non sono pronti…
Il mercato è imprevedibile, può esplodere tutto dal nulla. Penso che bisogna provarci e basta, nessuno ha la formula giusta. Ho letto di recente il libro di Big Fish dove dice che i pezzi su cui ha puntato di più nella sua carriera non hanno mai venduto. A me piace fare musica ogni giorno, della più disparata e per come sono fatto devo prendere più spunti possibili e realizzare bella musica, qualunque genere sia, non deve esserci un limite. L’unica regola che ho è essere sincero con me stesso. Poi comunque vedo che in Italia abbiamo ispirato dei ragazzi, ce ne sono di altri artisti che riprendono quello che io e altri abbiamo iniziato.
Il tuo lato sociale nella tua musica e in quello che dici si vede molto. Per esempio nell’ultimo pezzo dell’EP ad un certo punto dici “Fanculo Toni Iwobi” che è una presa di posizione importante. Oppure in tue vecchia interviste dici che non vuoi essere etichettato come “afroitaliano” perchè per l’appunto non vuoi etichette.
A tal proposito, come ti poni sul tema del razzismo nel nostro Paese, che ultimamente è un argomento molto caldo e delicato?
Io parto sempre dal presupposto che nel mondo vivere secondo giustizia sarebbe facile, ma ci complichiamo sempre tutto con tante parole inutili, etichette e cazzate. FULA nella lingua wolof (la lingua più parlata in Senegal) vuol dire coraggio e mi chiamo così perchè non ho vergogna a dire quello che penso: la mia unica fede è la giustizia, faccio tutto il possibile per stare nel giusto. Al giorno d’oggi vedo tanto parlare per perdere tempo. In Italia noi di discendenza africani siamo bloccati sul tema del razzismo. Il razzismo in Africa è un concetto che non esisteva e che è stato importato, eppure sento africani in Italia dire che gli italiani sono razzisti però allo stesso tempo dare contro per esempio ai cinesi, e questo è ipocrita. Io non mi sento né nero né bianco, non mi sento di prendere le parti di una fazione per mettermi contro l’altra. Cerco di guardare le cose per come le valuto io con l’educazione che ho ricevuto. Quando vedo Checco Zalone che minimizza su temi dei migranti e vedo che lo fa solo per guadagnarci e far parlare sapendo che la gente è selettiva sui concetti da capire, mi arrabbio perchè so che fa arrivare un messaggio sbagliato. Oppure anche per un Toni Iwobi che è come un meridionale che vota Lega Nord, è lo stesso. Quando mi chiedono se sono musulmano o cattolico rispondo che posso essere o l’uno o l’altro, posso stare coi cinesi o coi messicani o a salutare il Papa in Italia e pregare con tutti allo stesso modo.
È altro ciò che è importante nel mondo. Ci sono popolazioni che non hanno l’acqua a disposizione e noi ci preoccupiamo del ragazzo che non è mai uscito dal proprio palazzo che ti chiama “immigrato”. Un nero nel 2021 deve avere un carattere forte, non possiamo permetterci il vittimismo, bisogna essere onesti. In Calabria, dove ho vissuto, nessuno si permetterebbe di dirmi contro sia perchè parlo calabrese meglio di molti (ride, ndr) sia perchè mi sono integrato e mi sono fatto accettare, non sono qui a piangermi addosso. Bisogna pensare ad altri problemi: qui da noi in Senegal la Francia ha in mano tutto, dall’economia alla politica e lucra su di noi e l’unico che l’ha detto è stato addirittura Di Maio che non se l’è cagato nessuno. Quando ci decideremo a cambiare la nostra realtà per poter uscire dall’Africa come uomini fieri e non come immigrati? Cambierebbe molta percezione per gli stranieri. Pure se arrivassero europei in Senegal chiedendo elemosina o altro, qui saremmo diffidenti e penseremo ai propri interessi, perchè di base l’essere umano è egoista. Smettiamo quindi di piangerci addosso, se rispettiamo la legge e ci integriamo in un altro paese ben venga, è importante cambiare la nostra immagine all’estero. Se uno non fa mai nulla prende il sopravvento l’ignoranza. Io cerco di dare una mia visione della realtà per dare stimoli ai ragazzi per fare qualcosa di costruttivo per loro e la comunità.
Il pezzo a cui sei più legato di “Adouna“?
Probabilmente Touty essendo la storia di mia sorella che ho vissuto molto intensamente. Anche Il Mare In Casa è un pezzo fondamentale, un pezzo che ho scritto quando ho realizzato che mi mancava qualcosa nella mia realtà in Calabria e che dovevo uscire a vedere il mondo.
Oppure L’argent che è un pezzo che ripercorre il vissuto della mia famiglia, che racconta di come tutto poi si riduca al voler solo fare soldi.
Per concludere, come nostra consuetudine, ecco una selecta di brani scelti dall’artista in esclusiva per Save The Tape:
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Una risposta a “Il coraggio di raccontare la realtà: intervista a F.U.L.A.”
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