Tra atmosfere elettroniche e chitarre spigolose, la musica di Giungla è un alternative pop pieno di vita, proprio come la giungla da cui ha preso il nome.
Turbulence è il nuovo lavoro discografico di Giungla (fuori per Factory Flaws / peermusic Italy), un EP dalla dimensione intima e avvolgente in cui l’artista condensa le esperienze vissute negli ultimi anni, facendo emergere una grande maturità artistica e svelando aspetti inediti della sua musica.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la giovane musicista e ci siamo fatti raccontare di più sul suo nuovo EP e sulla sua storia.
Ciao Giungla, come stai?
Come ci si sente dopo la release di Turbulence?
Ciao Save The Tape! Vi sto scrivendo di ritorno da una data del tour a Torino e sono molto felice ci siano un po’ di spiragli per quest’estate e di portare un po’ in giro questo EP di cui sono molto fiera.
Il merito del tuo nuovo EP credo sia soprattutto quello di confermare quella tua attitudine internazionale che ti ha permesso di calcare importantissimi palchi come quello dello Sziget, dell’SXSW e del The Great Escape di Brighton.
Tu arrivavi da momenti come questi e poi, tutto d’un tratto, ti sei trovata chiusa in casa per colpa di una pandemia mondiale.
Nonostante non mi sembra che il periodo storico ti abbia tarpato le ali, quanto questo momento ha influito nella scrittura e quanto ha complicato le cose nella realizzazione dell’EP?
I pezzi dell’EP sono nati precedentemente, ma alcuni li ho ultimati in questo ultimo periodo e chiaramente, come per molti altri musicisti penso, un po’ di ritardi in corsa ci sono stati.
Però, data l’incertezza di questo periodo, penso che questo sia il momento perfetto per sperimentare. Durante il lockdown ho avuto modo di lavorare a delle sonorizzazioni, ad un podcast e ho fatto dei live che non ripeterò; ad esempio, un set solo chitarra per me è un modo di presentarmi molto “vulnerabile”, visto che di solito i miei live sono molto movimentati.
Ma data la situazione e la necessità di suonare di fronte ad un pubblico seduto in alcune situazioni ho iniziato a concentrarmi molto sul suono e su atmosfere più dilatate.
In più ora per i miei live più elettrici non sarò più da sola sul palco e ad accompagnarmi c’è un batterista. Penso sia un periodo in cui bisogna tenere in mente che non è scontato far succedere le cose e bisogna trovare modi di creare scambio anche nella “distanza”.
Allo stesso tempo non nego che viaggiare sia la cosa che mi manca di più, non vedo l’ora arrivi il momento in cui sarà di nuovo possibile.
Che poi, a dirla tutta, in Turbulence le cose sono già di loro complicate, movimentate, cariche di energia. Passiamo da attimi con atmosfere sognanti a grandi schitarrate elettrizanti: quali sono i riferimenti e le motivazioni alla base del tuo nuovo lavoro?
Era da un po’ di tempo che avevo in mente questa parola per il prossimo lavoro e come tante altre cose dopo la pandemia forse ha acquistato ancora più significato. Si lega molto al concetto di non poter controllare le cose, doverle lasciare andare e far convivere diverse parti di sé.

Quanto del tuo alt-pop pieno di vita – come la giungla da cui prendi il nome – si può rivedere anche nell’artwork?
L’artwork è un quadro della pittrice Sophie Westerlind intitolato Martina’s Flowers e le copertine dei singoli che hanno anticipato l’EP sono tutti close up di questo quadro.
Ho conosciuto Sophie e visitato il suo studio alla Giudecca di Venezia un anno fa. Questo quadro mi ha colpita tantissimo perché Sophie è solita dipingere molto la figura umana, ma mi ha raccontato che durante il lockdown ha sentito il bisogno di ritrarre dei fiori, perché bloccata su quest’isola a Venezia sentiva molto la mancanza della natura.
La sua pittura è caratterizzata da tratti carichi di materia e molto colorati e appena ho visto quest’opera ho pensato subito fosse perfetta, mi ha dato un’idea di grande libertà e movimento.
Sono molto onorata di questa collaborazione e di aver potuto usare la sua arte come cover.
Con le chitarre di cui sopra accostate al campionatore, l’EP si contraddistingue per l’evidente internazionalità dei suoni.
Com’è stato lavorare in studio con Andrew Savours (My Bloody Valentine, The Kills)?
Vuoi raccontarci un aneddoto legato ai momenti di lavoro insieme anche con Jessica Winter?
Ho conosciuto Andy al Great Escape di Brighton quando ho suonato lì qualche anno fa e così abbiamo deciso di lavorare ad alcuni pezzi.
Ho passato una settimana nel suo studio a Londra ed è stato super poter lavorare con lui anche perché lungo la sua carriera si è occupato dei suoni di alcuni dei miei artisti preferiti di sempre (come Yeah Yeah Yeahs e The Kills); soprattutto la fase di recording delle chitarre è stata quella più divertente e stimolante.
Jessica Winter è una songwriter e producer che ho conosciuto mentre mi trovavo a Londra per un periodo e un giorno ci siamo trovate per provare a scrivere qualcosa assieme. Ricordo che mentre stavamo lavorando ad alcune idee di melodia mi ha detto “ma per caso c’è qualcosa in particolare su cui avresti sempre voluto scrivere un pezzo?”. Io in quel periodo andavo a vedere live di ogni tipo praticamente tutte le sere e le ho detto “non saprei, però proprio ieri pensavo che ho sempre qualcuno davanti a me molto alto ai concerti e forse prima o poi dovrei scrivere un pezzo sul problema di essere bassa!”. Lei ha subito preso un foglio e ha scritto “it’s a little problem!!!”.
Così è arrivato subito il titolo.
È un pezzo che mi ricorda di questo periodo in cui ho imparato a godermi la bellezza di andare a vedere live da sola e di quanto sia importante trovare i propri spazi.

Quanta “rabbia” da lockdown c’è in questo tuo nuovo lavoro? Ora che la macchina live sembra riessersi messa in moto avremo la possibilità di sentirti suonare live?
Devo dire che non provo e non ho provato rabbia per questo periodo. Anzi, mi ritengo fortunata di aver potuto provare cose nuove, di poter suonare quest’estate e cerco di vedere i lati positivi.
Direi che questo disco è più una sorta di chiusura di un capitolo, sto già pensando a cosa arriverà dopo.
Per concludere ti chiediamo, se ti va, di prepararci una playlist con i brani (di oggi e di ieri) per te più significativi e ti salutiamo con una provocazione: da artista cosa ne pensi del ruolo che hanno oggi le playlist? Quanto la tua carriera può essere vincolata dall’umore e dalle lune degli editori di Spotify?
Noi, a prescindere, ti inseriamo nella nostra, qui
Le playlist penso siano un bel modo di scoprire cose nuove, tendo però a non amare molto la musica quando diventa per forza sottofondo e basta.
Mi piace essere distratta dalla musica, ascoltare veramente cosa succede.
La musica che diventa puro “mood” per accompagnare un momento mi interessa fino ad un certo punto.
Voglio essere “disturbata” da musica che colpisce, che muove.
A questo proposito, vi consiglio: