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SCATOLA NERA E L’IMPERFEZIONE PERFETTA

La Scatola Nera ci regala una playlist di canzoni rese perfette dalle loro imperfezioni.

Tekeli-li!, il titolo del nuovo singolo della Scatola Nera, porta con sé molti significati. È una parola inventata da Edgar Allan Poe che la usa alla fine de “Le avventure di Arthur Gordon Pym”, quando Nu-Nu, un povero indigeno di un’isola del Polo Sud, la urla disperato mentre viene portato via su una zattera verso un mare sempre più bianco, circondato da aironi bianchi e coperto da una strana cenere bianca. “Tekeli-li!”, ovvero “bianco”.
Un bianco che, nel racconto Poe, diventa metafora dell’orrore e non, come siamo abituati ad intenderlo, simbolo di candore. Perché a volte la perfezione totale e senza macchia fa paura. Noi esseri umani, lo sappiamo, siamo esseri imperfetti, e tante volte nell’illusione di emanciparci dalla condizione di fallibilità che ci appartiene ci trasformiamo, andando spesso contro la nostra natura.

“La canzone riprende il terrore per la chiarezza, per la razionalità portata alle sue estreme conseguenze“, queste le parole della Scatola Nera per presentare il brano.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo deciso di chiedere loro di creare per noi una playlist di dieci brani resi perfetti dalle loro imperfezioni interne. Chitarre scordate, pause di troppo, stonature selvagge; tutti elementi di umanità che non ci fanno urlare terrorizzati “Tekeli-li!”, ma che ci ricordano ancora una volta quanto noi esseri umani possiamo essere capaci di fare grandi cose.
Buon ascolto cari lettori di Save The Tape

1. Michael HurleyPenguins
Alcuni sentimenti sono fuori luogo e stonati. Noi spesso ci sentiamo così: calanti o crescenti, a seconda delle situazioni. C’è una poetica dell’errore e c’è chi sa sfruttarla: ascoltate i fiati stonati di Penguins di Michael Hurley e sentirete tutta la malinconia di chi non trova mai il suo posto.

2. Karen DaltonReason to believe
Karen Dalton era una cantautrice americana di origini Cherokee (almeno, così si dice). L’album 1966 raccoglie alcuni suoi brani, registrati alla buona su un registratore a nastro. La cover di Reason to Believe di Tim Hardin, diventa meravigliosa grazie alla voce irregolare, la chitarra leggermente scordata e il fruscio della bobina che accoglie tutto in un abbraccio.

3. Washington PhillipsMother’s last word to her son
Washington Phillips era un cantautore afroamericano nato a fine ‘800 che si accompagnava con uno strumento molto particolare, l’autoharp.
È uno strumento poco conosciuto in Europa, lo si è visto apparire nel tour di PJ Harvey, Let England Shake. Per sua natura questo strumento tende ad essere ritmicamente confuso e ballerino nell’intonazione (lo abbiamo usato, per accordarlo abbiamo perso una giornata, fidatevi).
La musica Phillips si snoda in queste stonature e in questi inciampi come la migliore sinfonia.

4. Penguin Cafe OrchestraThe sound of someone you love who’s going away and it doesn’t matter
Penguin Cafe Orchestra erano musicisti provetti, passati alle cronache per la collaborazione con Brian Eno. Il massimo dell’avant-pop per quanto ci riguarda. Più freddi degli esempi precedenti, erano in grado di usare le scordature e le dissonanze con maestria chimica, per non dire alchemica.

5. EddaOrganza
Si può anche guardare all’Italia. Noi non siamo dei grandi ascoltatori di musica italiana. Nel 2009 uscì Semper Biot a firma di Stefano Edda Rampoldi, ex cantante dei Ritmo Tribale, un disco unico nella musica italiana. Prodotto da Taketo Gohara, in parte scritto da Walter Somà, lo troviamo impagabile.
Qui è il testo a stonare meravigliosamente, in giochi di parole e in storture che, ancora una volta, dànno voce al sentimento, calpestando la grammatica: “mi degeneri la gelosità” è splendido da sentire in questa canzone.

6. Daniel JohnstonStory of an artist
C’è qualcosa di bello stonato, sgrammaticato e completamente fuori tempo? Sì. Ascoltate un pezzo di Daniel Johnston e ve ne renderete conto.
Omaggiamo così un autore recentemente scomparso, che reputiamo il Cole Porter degli anni ’90.

7. Lee HazlewoodThe woman I love
I provini hanno un fascino unico. Sono come i bozzetti in pittura: siamo certi di sentire (o vedere) l’artista al netto della produzione e degli interventi esterni. Ascoltate The Woman I Love di Lee Hazlewood in cui lo sentiamo fermarsi, ricominciare e migliorare di take in take.

8. Bob DylanBob Dylan’s 115th dream
L’inciampo più bello della storia della musica è l’inizio di Bob Dylan’s 115th Dream. Tanto bello che fu tenuto nel disco iconico Bringing all back home: si sente Dylan partire, chitarra e voce e scoppiare a ridere insieme al fonico: la band non era partita quando doveva.
La risata è così spontanea da supportare l’ironia di una canzone così sconquassata e allucinata.

9. Eric AndersenClose the door lightly when you go
Ogni tanto è il musicista, ogni tanto è il testo. In questo caso è il fonico che fa partire la bobina del master in ritardo. Si tratta di un attimo in cui la musica accelera, all’inizio della canzone.
Un effetto bellissimo, in cui sentiamo la bobina partire, un suono cui sono abituati quelli avvezzi (come noi) a registrare in analogico.

Dovevano essere dieci, ma sono nove…
Se non si fosse capito, ci piacciono le cose incompiute!