Muktada è l’album d’esordio di Wabeesabee, dieci brani che spaziano tra neo-soul, chill, latin-pop, blues e classic-rock.
Andrea e Saverio, nonchè i Wabeesabee, hanno scelto Muktada come titolo del loro album d’esordio, ispirandosi al personaggio egiziano del film A Kind Of A Funny Story, che, all’interno di un reparto psichiatrico, è inizialmente intimorito dall’ipotesi di uscire per paura del mondo esterno, ma che riesce poi a superare questa suo timore aiutato dalla forza della musica. Il disco è un ritratto di quotidianità, che tocca numerose tematiche, fornendo diverse chiavi di lettura e riportando esperienze personali: l’insonnia, l’amore, l’ossessione, il disagio, il rapporto con noi stessi e con le altre persone, analizzate nelle loro diverse accezioni. Nei dieci brani che compongono l’album, a livello di sound i Wabeesabee spaziano dal neo-soul al chill dalla musica lounge anni 60’/70’ al latin-pop, passando per il blues ed il classic-rock, mostrando capacità notevoli, forte passione e valorizzando un accurato lavoro di ricerca e sperimentazione.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare il duo per parlare del loro progetto, delle loro influenze e del loro nome così particolare (che nasce da Wabi-sabi, la visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose.
Data l’origine del vostro nome, che rapporto avete con la cultura e il mondo giapponese?
Allora, in teoria, a parte la passione che ha Andrea per Murakami e il fatto che condividiamo l’ascolto di molto funk/jazz asiatico, il nome è spuntato durante le registrazioni del disco: in studio si ascoltavano molto i Timber Timbre e lui ci ha proposto questo nome. Andando a vederne il significato abbiamo scoperto che era in perfetta armonia con i brani del disco.
Nel vostro album si passa da atmosfere che ricordano Jeff Buckley fino ad un R&B vecchio stampo. Insomma, c’è un po’ di tutto senza però risultare mai confusionari: quali sono le vostre fonti di ispirazione?
Praticamente la domanda ha in sé la risposta. Scherzi a parte, con Buckley è un’amore che da sempre non cessa di esistere, mentre per altri ascolti ci siamo fatti trasportare dalla corrente Neo-soul inglese: Arlo Parks, Tom Misch (e Yussef Dayes), Jordan Rakei; ma anche Anderson .Paak, Erykah Badu e D’Angelo soprattutto. Ometto nomi importanti ma è una domanda alla quale si può rispondere completamente, solo di fronte al bancone di un bar, parlando per ore ed ore.
Cosa significa, nel 2021, avere una band? Intendo dire: oggi il mainstream è pervaso da progetti di singoli; come si vive la progettualità di un band ai nostri giorni?
La nostra realtà non è molto distante in quanto siamo un duo e non una vera band (il quartetto lo facciamo solo sul palco). La verità è che le band sono difficili, non abbiamo una gran gestione della situazione e soprattutto mettere d’accordo diverse teste è difficile, specie perché la guerra sui compromessi non la reggiamo facilmente. Tra di noi ci troviamo bene perché siamo amici, ci passiamo i dischi e scriviamo insieme, è bello perché la situazione sa essere intima.
Dato che il titolo “Muktada“ deriva dal personaggio egiziano del film “A Kind Of A Funny Story”, quanto è importante la cinematografia nel progetto Wabeesabee?
Questa è una domanda alla quale non sappiamo ben rispondere, nel progetto Wabeesabee c’è un po’ di atmosfera cinematografica ma non ci facciamo condizionare molto dalla pellicola.
Riuscireste a trovare un filo in grado di collegare tutti i brani dell’album?
Assolutamente sì: l’accettazione. L’unico modo che abbiamo per ripartire, per garantirci un futuro migliore, è accettare in primis le condizioni del presente e le azioni passate. Su questo piano coglieremo la bellezza e l’importanza non solo di ciò che è reale, ma anche di ciò che è possibile. Abbiamo voluto che Muktada in qualche modo fosse questo e su tutti i pezzi abbiamo messo parti di noi che non ci piacciono affatto o parti di cui andiamo felicemente fieri.
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