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Fulminacci: il valore di chi parla poco e pensa a giocare

Fulminacci è un talento raro, un artista poco appariscente ma che fa un gran lavoro, un po’ come quel Khedira o quel Makelele che guidarono silenziosamente il centrocampo delle loro squadre, diventando perni imprescindibili del gioco, senza mai ambire a prime pagine patinate o attirare i riflettori.

Il giovane Fulminacci è un talento raro, di quelli che difficilmente finiscono sulle copertine dei giornali e che facilmente finiscono nel cuore degli ascoltatori. Musicista completo in crescita costante, dopo una solida apparizione a Sanremo, il dodici marzo ha pubblicato il suo secondo disco Tante care cose (Maciste Dischi, distribuzione Artist First), un album ritmato e ballereccio, una boccata di allegria nell’aria soffocante delle zone rosse.
Un disco che ci ha ricordato l’importanza di avere un Fulminacci nelle nostre vite e nel panorama musicale.

In questa rubrica correliamo canzoni e artisti a sport e sportivi: in questo caso il paragone è più semplice che mai. Nella scena musicale italiana, Fulminacci ha il valore silenzioso di quei giocatori che, in tutti gli sport di squadra, lavorano tanto e sodo, quelli non trovi sulle prime pagine ma li trovi in ogni angolo del campo.

Nei primi anni duemila il re di questa categoria era senza dubbio Makelele: in una squadra come il Real Madrid dei Galacticos, che annoverava campioni come Zidane, Beckham Figo, Raul e Ronaldo, il nostro passava le partite macinando centinaia di chilometri, conferendo a quella sbilanciatissima squadra di mostri una parvenza di equilibrio.
Quando servirono i soldi per comprare un altro fenomeno, tuttavia, fu proprio lui, in quanto nome meno altisonante, a essere venduto (inutile dire che fu un disastro tattico e il Real non vinsero più nulla per tre lunghi anni).

Nella musica di Fulminacci si sente un lavoro di esplorazione ed esercizio che deve aver occupato molti dei suoi 23 anni di vita. Ha raccontato spesso, infatti, dell’affezionata cameretta in cui ha scritto questo suo secondo lavoro, la stessa in cui ha scritto il primo (vincitore del Premio Tenco per la miglior Opera Prima). Tante care cose è stato criticato non poco, ma – sinceramente – non condivido i biasimi che ha ricevuto, anzi.

Se si volesse trovare un difetto, sarebbe forse la mancanza di una hit assoluta, del pezzo che ti svolta l’esistenza e che canticchi per sempre. Nemmeno di questo siamo sicuri, in realtà, poiché la traccia numero sette, Canguro, è davvero una bella canzone, di quelle che dopo due ascolti sai il testo a memoria e il cui jingle ti rimane facilmente in testa. L’outsider che viene bersagliato, comunque, non è certo una novità: basti pensare a Khedira, giocatore dotato di un’intelligenza più che sopraffina, perno imprescindibile della Juventus vincitrice di tutti gli scudetti e arrivata due volte in semifinale di Champions, per anni costantemente criticato dai tifosi (“lento”, “macchinoso” e via discorrendo) ma costantemente schierato titolare dagli allenatori. Allergico agli highlight, numero di sue magliette vendute vicino allo zero, poco spettacolare, bensì maestro degli inserimenti e delle giocate intelligenti, guidò silenziosamente quel centrocampo come Fulminacci, forse suo malgrado, sta guidando la giovane generazione di cantautori alternativi fuori dai binari facili e pigri che stava prendendo.

Puntare su un disco con alcuni tratti tristi ma, comunque, una chiara impronta leggera (anzi, leggerissima) è già una scelta molto coraggiosa di questi tempi, in cui il trend new-emo è stato ampliato all’inverosimile dalla pandemia e il conseguente malessere.

Canguro e Santa Marinella non sono le uniche perle nascoste in questo disco: Meglio così, l’opening track, è una vera e propria presentazione non solo di sé e dell’album, ma anche dell’intera generazione dei nati nei ’90-tardi ’80, i millenials nel vero senso del termine, quelli cresciuti col Game Cube e le squadre italiane in cima al mondo.
Tra quelle da ballare si distinguono Miss Mondo Africa e, soprattutto, la fighissima Tattica, che descrive la fin troppo nota sensazione mille volte provata da chi non vede l’ora di andare alle feste per ballare e rimorchiare e che quando ci arriva non sa né come ballare né tantomeno come rimorchiare.
Anche i due pezzi più malinconici con cui si conclude l’album, Giovane da un po’ e Le biciclette (vera e propria spada spezza cuore) sono due canzoni ben riuscite, che marcano la nota dolce e nostalgica con cui è sempre giusto e opportuno concludere un album.

Insomma, il buon Fulminacci si conferma un artista di spessore, un ragazzo poco appariscente che fa un gran lavoro, un Gattuso, un O’Driscoll, un Cambiasso, un Ginobili, che non smette di migliorare e di portare la musica da falò a un livello di qualità imprevedibile e inesplorato.

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