Sanremo non è solo musica, ma è la cartina tornasole della nostra cultura; è un palco che misura la febbre alla nostra società. Cosa ci sta raccontando la lingua di Sanremo 2021?
Anni fa in una fredda aula dell’Università degli Studi di Milano durante una delle mie prime lezioni di Lettere, ho scoperto una cosa che all’epoca non davo affatto per scontata: la lingua cambia. Continuamente. Alle elementari ci viene insegnato che le regole dell’italiano sono fisse, i vocaboli sono già decisi, non si scappa. E invece non è vero: la lingua è sottoposta a un mutamento continuo e inarrestabile. L’italiano, poi, è un caso proprio a parte perché nasce come lingua di uno stato che non esisteva ancora (la nostra frammentazione territoriale non si conclude prima del 1861), ed è stata creata praticamente a tavolino a scopo letterario.
Con il tempo e con l’uso, la lingua non è mai uguale. Perché avviene? Succede come conseguenza di un meccanismo umano imprescindibile, alla base dell’evoluzione e della sopravvivenza: banalmente, il cambiamento. Cambiano noi, cambia la società e necessariamente cambia anche la lingua. È un meccanismo giocoforza che si basa sulle strutture che tengono in piedi la nostra esistenza e i nostri rapporti: l’impalcatura che sostiene il nostro equilibrio sociale è solidissima, ma non immutabile. Cambia con noi e noi cambiamo con lei; è il darwiniano prezzo da pagare per sopravvivere come collettività. E vale anche per l’italiano. Sì ma, Sanremo che c’entra?
Durante la quarta serata del Festival di Sanremo 2021 Beatrice Venezi ci ha tenuto a ribadire di non essere una “direttrice” d’orchestra, ma un direttore. Direttore d’orchestra. Un titolo autorevole che, a quanto pare, si sminuisce se declinato al femminile.
E qui c’è un altro punto importante: i titoli femminili devono essere declinati, i titoli maschili semplicemente esistono. Esiste avvocato, ingegnere, architetto, dottore. E se sei donna? Se sei donna sei avvocato, ingegnere, architetto, dottore. Perché il genere non conta, se non sei un maschio. Conta solo se sei un uomo, ma se sei una donna i titoli importanti (incredibile!) sono indeclinabili. O almeno è quasi sempre così.
La discussione sulla lingua fortunatamente è sempre aperta e accesa, soprattutto in questi anni: non tutti sono per il cambiamento, la lingua per alcuni è così e deve restare com’è. Ma qui non parliamo di stravolgere grandi regole, solo di applicare quelle che esistono già: non è per niente scontato, ma l’italiano per questa parola ci dona già la declinazione femminile. Direttore – Direttrice. Secondo la Treccani, chi dirige, chi ha la direzione di un istituto, di un’azienda, di un ufficio, di un’attività, ecc.
Forse, allora, il problema non è linguistico ma strutturale: davvero declinare un titolo al femminile lo snatura? E soprattutto, quanto è giusto passare un messaggio simile sulla TV nazionale?