Un esordio che sicuramente non è passato inosservato è quello di La ragazza dello Sputnik: Kiku è un lavoro eterogeneo, con influenze diverse, ma al tempo stesso coerente nell’estetica, nel contenuto e nel racconto.
Kiku (Murato Records) è il biglietto da visita di Valentina, in arte La ragazza dello Sputnik, che si presenta al grande pubblico con un lavoro di lunga gestazione, un progetto complesso, di profonda ricerca, maturato dopo anni di scrittura necessari per costruire un’identità sempre più definita e originale, ma mai statica e definitiva.
Il tema principale del disco è il concetto di rinascita; del resto il termine kiku deriva dal giapponese e significa crisantemo, fiore che in occidente viene comunemente legato al concetto di morte, ma che nella cultura giapponese simboleggia una nuova vita.
L’obiettivo di Kiku è quello di racchiudere e descrivere con sincerità e senza paura le sensazioni di stasi, di sofferenza, di amara consapevolezza, di rabbia, facendole esplodere in un forte senso e desiderio di rivalsa, su noi stessi, su chi ci ha provocato quegli stati d’animo o sulle cose che ci hanno ferito e reso instabili. La parte di scrittura si unisce elegantemente alla musica basata sulla sperimentazione e il risultato è quello di un disco sincero e veritiero, che non ha paura di raccontare l’artista che c’è dietro.
Anche per questo motivo abbiamo chiesto all’artista veronese di raccontare a Save The Tape il suo nuovo album traccia dopo traccia, associando sette diverse foto rappresentative.
In Riva al Male: l’equilibrio instabile che si trova uscendo da una relazione tossica, sapendo che stare lì a guardarla potrebbe riportarci dentro, ma consapevoli che si sanno molte più cose di quelle che si possono temere o subire.
Psicofarmaci: questo è il brano di quando hai amato per troppo tempo le persone che ti hanno fatto e si sono fatte del male e che sono capitate nella tua vita senza che tu potessi scegliere.
Questo amore si trasforma, in rancore e diventa odio, desiderio di rivalsa, ma non vendetta perchè quella è per i poveri di cuore.
Però, dato che tu non mi hai portato in alto, con la mia paura e la mia adrenalina lo farò io.
Mancanze: per accettare quello che ci manca, quello di cui ci sentiamo in difetto, quelle contraddizioni che richiedono anni di lavoro e di ascolto di se stessi, ma raggiunte, comprese e capite con consapevolezza diventano solo un modo per accettarsi e farne punti di forza.
Mantide: un flusso di pensieri. Ho sempre pensato che questa canzone fosse una poesia perché così è nata e poi si è trasformata. Mantide è lasciarsi andare alla stanchezza, essere circondati da impegni, momenti, sensazioni, emozioni, quasi rischiando di perdere la vista e di rimanere senza fiato. Vivere in un flusso, rischiare di continuo, chiedere più tempo e più spazio nonostante i pericoli, le ombre, le possibili sconfitte.
Origami: gli origami sono quelli che si creano nei miei sogni ad occhi aperti durante la notte. Le notti insonni, il loro tormento e la loro magia, il loro attraversare mondi impossibili per chi dorme, il loro creare deserti attorno, ma dare respiro a pensieri profondi. Odi et amo, attendere l’ora della colazione distrutti, ma con i propri mostri sempre accanto.
27: l’ossessione, la persecuzione, il numero che torna di continuo, il numero al quale forse faccio semplicemente più attenzione. Il 27 che ha scandagliato tappe di vita, che è stato un numero civico, il numero di una pagina, che ha costruito muri attorno e dentro me e tormentato giorni interi sulla bilancia. Il 27 mi ha messa all’angolo più volte, ma rimane il numero più certo della mia vita.
Technicolor: questa canzone dice “vorrei fartela pagare per tutte le volte in cui io ho sofferto a causa della mia inclinazione alla malinconia”, vorrei farla pagare al mondo, ma mi arrendo e guardo il tramonto che vedo davanti a me. Accetto la mia esistenza e i suoi colori, che a volte sembrano essere stati saturati, ma sono solo l’altra faccia della mia medaglia. Dopotutto per rinascere ci vuole un paradiso, un paradiso dove schiantarsi.