La nostra intervista al cantautore e produttore trevigiano Dariush.
Non c’è gioia più grande di scoprire nuova musica che sappia capirti e farti sentire in pace con le tue contraddizioni personali, tanto da volerla condividere subito con qualcuno e allora scrivi al tuo amico ascolta questa bomba!
Questa per me è la situazione da quando ho ascoltato LOOK!, il primo disco di esordio di Dariush Aazam Rahimian, cantautore e produttore trevigiano di origini iraniane e inglesi. L’album, anticipato dai singoli Mercoledì, Fantasmi e Diario / Vi Ascolto, è stato pubblicato da Oyez! giovedì 14 Gennaio. Come per i tre singoli che lo hanno anticipato, LOOK! è accompagnato da un’illustrazione dell’artista Molley May.
In questo progetto ammaliante e trascinante Dariush mette in luce la sua idea molto intima, personale e sincera di hip-hop, guardando al mondo e creando un unicum nel panorama musicale italiano. Le nove tracce sono un flusso di pensieri, inserito in uno spettro colorato di molteplici emozioni: in 20 minuti veniamo coinvolti dalle melodie rilassanti dell’abstract hip hop, dai ritmi groove coinvolgenti, dalle sensazioni jazz e dalle atmosfere oniriche elettroniche.
LOOK! rappresenta un’astrazione nuda e cruda di desideri e paure, sogni e timori, inserito un contesto musicale e lirico che spazia dalla cameretta all’infinito.
I testi, una calma combinazione di rap e spoken word, attirano l’attenzione per la loro semplice e disarmante verità, obbligandoti a un ascolto continuo alla ricerca di significati persi o apparentemente nascosti.
Una buona canzone per essere definita tale deve essere in grado di svoltarmi la giornata con una frase e Dariush c’è riuscito:
“..le nuvole non contano
Le Nuvole Non Contano di Dariush
è il sole che è importante,
il sole che colora le tue stanze…”
Abbiamo, quindi, colto l’occasione per scambiare quattro chiacchere con Dariush.
Ciao Dariush! Le tue canzoni sono un interessante mix di generi (e in Italia l’abstract hip hop non si sente moltissimo). Da cosa o da chi hai preso ispirazione?
Mentre lavoravo a questo album, ascoltavo tanto una specifica fetta di hip-hop da oltreoceano. L’ultimo album di Earl Sweatshirt e altri rapper introspettivi come MIKE e Navy Blue mi hanno fatto capire che cosa stessi cercando: la forma più sincera possibile per i miei pensieri.
Chi sono i musicisti che nella tua vita ti hanno influenzato di più? Insomma, chi ascoltavi chiuso in cameretta?
Ho attraversato molte fasi, come tutti. Il primo CD che ho comprato è stato The Blueprint 2 di Jay-Z, quindi l’hip-hop è sicuramente sempre stato presente. L’altro lato che mi influenza è un certo tipo di songwriting, per esempio quello di Fiona Apple: metafore potenti, l’intensità di chi descrive un dolore in tempo reale. In cameretta ascoltavo tante cose, quello che è certo è che ascoltavo con attenzione.
I tuoi testi sembrano poesie moderne, hai mai scritto qualcosa che poi non è diventato musica?
Innanzitutto, grazie, è un bellissimo complimento. Scrivo tutti i giorni per lavoro, ma mi occupo di pubblicità quindi posso esprimere il mio stile personale solo fino a un certo punto. Le canzoni sono un momento di liberazione in cui riesco a trasmettere tutto me stesso. E sento spesso di averne bisogno.
Le tue canzoni parlano un po’ dei problemi della nostra generazione, quanto è importante per te scrivere qualcosa che possa essere condiviso e vissuto anche da altri?
A dire la verità, mentre scrivo o produco penso solo a quello che sento io. Riuscire a mettere in musica qualche pensiero, magari con un ritmo che mi piace o con delle parole che cercavo da un po’, è una sensazione impagabile. Poi qualche volta inserisco un minimo di ambiguità, un sottile gioco di parole, qualcosa che renda più denso anche il decimo ascolto. Però, in generale, la mia priorità è trovare dei significati che facciano stare meglio me.

Senti che in qualche modo il tuo background culturale possa aver influenzato la tua arte? Se sì, in che modo?
Sì, sicuramente. Da piccolo sentivo parlare inglese, italiano e persiano tra le mura di casa, quindi anche solo inconsapevolmente, cercavo di unire i puntini e trovare un terreno comune tra queste culture. E di sicuro poter capire i testi delle canzoni in inglese da bambino mi ha aiutato a scoprire da subito il potenziale di questa arte.
Qual è la cosa più bella per te del fare musica? E quella meno bella?
La cosa più bella è la sensazione che provo quando una frase per me ‘perfetta’ esce dalle mie labbra senza che io ci stia nemmeno pensando. Trovare il modo per spiegare un sentimento è un’epifania vera e propria, ogni volta. Una cosa simile vale per i sample: trovare un suono che mi ispira e creare qualcosa di nuovo che mi rappresenti è bellissimo.
La cosa meno bella – se proprio devo dirne una – è doversi ritagliare il tempo per fare musica. Magari un giorno potrò farlo a tempo pieno, e allora sarò felice di non avere più una risposta a questa domanda.
Nel tuo album c’è uno spettro di emozioni, è come veder passare sul finestrino diversi paesaggi, davvero stupendo. Se tu fossi costretto a scegliere una sola emozione da rendere musica, quale sarebbe?
Mi piacerebbe catturare la sensazione che si prova al crepuscolo di un giorno sereno. Quando il sole non c’è più, ma hai ancora un po’ di luce inspiegabile. Sogno di riprodurre quel mistero rosa.
Sono mesi difficili un po’ per tutti, cosa ti manca di più della vita normale?
Vorrei fare un bel pranzo in collina, giocare a calcetto e andare a un concerto. Tutto nello stesso giorno.