Il 2020 è stato l’anno che ha consacrato, una volta per tutte la parola “transmediale” nell’immaginario comune, nelle sfide aziendali da vincere, nel raccontarsi sul web. Perché questo incipit in un articolo che vuole essere una recensione di un album musicale? Perché i MasCara hanno portato tutto questo nel loro modo di fare musica. Recensire il loro ultimo progetto, Questo è un uomo, questo è un palazzo, limitandosi all’ascolto su Spotify è quantomeno riduttivo.
Allo stesso tempo, presentare un progetto che parte come album, nella speranza che l’ascoltatore bulimico del web possa andare oltre l’ascolto e cercare tutte le connessioni che ci sono dietro, è una missione degna dei pionieri del Gospel di cui cantano.
Ma ecco la terza chiave, terzo incipit, terza sfaccettatura, o quel che volete. Metto la mano sul fuoco che i MasCara non vogliono arrivare a tutti, ma sicuramente a tutti quelli che abbiano voglia di ascoltare davvero.
Visualizza questo post su Instagram
Entriamo nel vivo delle parole messe solo apparentemente a casaccio in questa introduzione. Già durante la prima quarantena pandemica i MasCara si sono distinti per il loro offrire dirette musicali su Facebook che non erano delle dirette. Erano un’esperienza sensoriale che usava il web per distribuire la componente fondamentale della loro musica: la qualità. La frase più ripetuta in quei mesi, subito dopo ce la faremooooooo, è stata “mi sentite? Mi vedete? Boh, non ho mai fatto questa roba”.
Ecco, in mezzo a questo marasma di improvvisazione si è inserito alla perfezione l’insieme di contenuti video di chi manifesta la propria arte non solo attraverso l’audio, ma anche attraverso l’immagine. I videoclip dei singoli che hanno annunciato questo album sono andati in rotazione su MTV e hanno anche ricevuto premi per la qualità della regia. Cose che non accadono a caso, e qualcosa vorranno pur dire. Soprattutto se poi si nota che uno dei titoli di questi singoli è Carne e pixel. Ecco che tutto questo assume un ulteriore significato: questo album sembra l’album perfetto per la pandemia.
È la riscoperta dell’umano attraverso il digitale, la ricerca del complesso all’interno dell’apparente piattume del web. Quando tutti dicono che la musica oggi non è suonata e perde di complessità, ecco un disco che fa suonare anche il digitale e ne fa emergere forte e chiaro l’umano. Anche dietro a un filtro, anche dietro a un riverbero, anche dietro a un coro. L’uomo è lì e anche il palazzo.
Date fiducia a questi pionieri che cercano ancora la nicchia in un periodo di globalità sconfinata. Datevi del tempo per andare oltre l’immediato. Abbiate modo di guardare e non solo ascoltare. Cercateli, cercate i loro canali, i loro contenuti. Non è forse questo il bello del fisico? Del vinile o del cd, dei libretti con foto, testi, e contenuti speciali? Ecco, Carne e Pixel.
Per quanto mi riguarda, missione compiuta.