Il nostro 2020 in pillole: i migliori album

I migliori album scelti dalla redazione di Save The Tape per non farti perdere nessuna chicca dell’anno di merda che ci è appena capitato.

Fine dicembre è tempo di conteggi e bilanci. Anche per la musica. Per quanto questo 2020 sia stato un anno funesto e senza musica dal vivo, ci ha dato comunque qualche gioia. Ecco le preferite della nostra redazione.

After Hours – The Weeknd
di Flavia

Alla domanda su quale fosse per me il miglior album del 2020, non ho avuto alcuna esitazione: After Hours di The Weeknd. Questo disco non necessita sicuramente delle mie presentazioni, anche perché potrei essere in qualche modo di parte, essendo sua fan accanita dai tempi di Trilogy e Kiss Land (tra l’altro album ancora assurdamente attuali), ma con questo ultimo lavoro Abel si è confermato l’artista dal talento innegabile che tutti noi conosciamo. Con After Hours, The Weeknd diventa protagonista e regista al tempo stesso di un thriller psicologico, la cui trama è la sua stessa vita. Nonostante la fama mondiale dell’artista, il suo è un racconto di perdizione sui retroscena più oscuri della vita di una popstar, in pieno tormento dai demoni del passato. Il tutto condito dall’incontro tra sonorità trap e gli 80s, tra la sua vena intimista che lo ha reso unico nel suo genere alle tonnellate di synth. Che dire, quindi, affrontare il primo dei tantissimi mesi di quarantena con questo album è stato un vero piacere. E non ti preoccupare Abel se i Grammy sembrano non volerti, ad accoglierti a braccia aperte ci siamo sempre noi

Taylor Swift – Folklore – Evermore
di Camilla

Non me la sono davvero sentita di scegliere l’album migliore dell’anno di Taylor Swift. Prevedibile, comunque, perché a quanto pare stiamo parlando dell’artista più prolifica della quarantena. Mentre noi a malapena uscivamo dal pigiama e faticavamo a tenere il conto dei giorni, Taylor ha sfornato due capolavori. Nel mezzo di una pandemia. Touché. Folklore segna una svolta importante nel suo sviluppo musicale dando alle tracce tonalità indie folk (anche grazie alle produzioni Jack Antonoff e Aaron Dessner) e mischiando la sua narrativa con flussi di coscienza di storie e di ricordi. Evermore è, come dice Taylor, la sorella di Folklore e ci regala quello che probabilmente è uno dei bridge più belli (e più tristi) della cantante: “One for the money, two for the show / I never was ready, so I watch you go / sometimes you just don’t know the answer / ‘til someone’s on their knees and asks you / She would’ve made such a lovely bride / what a shame she’s fucked in her head, they said”. Se non lo sapete a memoria e non lo cantate urlando in macchina, non possiamo essere amici. Se non vi ho ancora convinti ho un nome per voi: Bon Iver.

Liv.e – Couldn’t Wait to tell you…
di Stefano

Venti brani fugaci e celestiali ci accompagnano in un surreale viaggio nel lo-fi jazz. Tra cambi di ritmo e finti finali, tra cantato e rappato, ci accorgiamo di quanto Liv.e sia abile nell’esplorare, nel temere e nel raccontare la sua personalità. Nel suo album d’esordio pieno di sentimento, la giovane americana (si pronuncia “Liv”) crea un racconto in cui jazz, neo-soul, R&B e hip hop si fondono armoniosamente, con suoni che sfidano ogni categorizzazione. Non credo nelle coincidenze, ma Liv.e è di Dallas, proprio come Erykah Badu, ha frequentato la Booker T. Whasington High School, proprio come Erykah Badu, e riesce a far dell’R&B davvero figo, fuori dagli schemi e dai sentieri battuti, proprio come Erykah Badu.

Oneohtrix Point Never – Magic Oneohtrix Point Never
del Kobra

Il nono album di Daniel Lopatin è un compendio su come fare musica elettronica sperimentale. Un disco autoreferenziale che vuole analizzare il percorso dell’americano fino ad oggi, considerando (inaspettatamente) anche il lato emotivo ed empatico, regalando all’ascoltatore un momento intimo e rappacificante. Magic Oneohtrix Point Never potrebbe essere l’album giusto per conquistare tutti quelli che, come me, fino ad oggi non si erano ancora fatti convincere al cento per cento dal ragazzo di Brooklyn.

Los Retros – Everlasting
di Tex

Il mio disco preferito nel 2020 è un EP, in realtà: s’intitola Everlasting ed è stato scritto e suonato da Los Retros, un diciottenne messicano-statunitense. Los Retros, al secolo Mauri Tapia, è appena uscito dal liceo, ma la sua musica è di una maturità spaventosa, pur rimanendo condita e abbellita da un mood giovanile, con tutte le tristezze e le malinconie tipiche dell’età. Se i precedenti lavori gli avevano guadagnato una folta e fedele schiera di fan, questo album è stata l’ennesima conferma di un talento cristallino (Mauri, nel salotto dei suoi genitori, suona tutti gli strumenti presenti nei suoi pezzi). Le sonorità jangle pop, il modo dolce di pizzicare la chitarra e di modulare la voce, la tenerezza dei testi e tante altre indiscusse qualità lo qualificano come uno dei più promettenti figli di Mac DeMarco. Everlasting è un disco leggero e nostalgico, che promette all’ascoltatore tanti battiti del cuore e all’autore una splendida carriera.

Bad Bunny – YHLQMDLG
di Francesco

Il reggaeton quest’anno è diventato quello che prima era la trap e molti anni fa l’house e l’emo ovvero il genere musicale che gli over 40 o qualche comico di Mediaset sfottono per fare bella figura davanti a gente più mongoloide di loro. Per combattere questo trend sfigatissimo quindi mi sembra doveroso citare quello che probabilmente è il disco urban latino che segna la svolta del genere, dove ci si stacca dall’immaginario di musica solo per l’estate, ma si inizia a sperimentare e a realizzare un prodotto pop di qualità molto versatile. Bunny è giovanissimo ma ha già uno spessore artistico di tutto rispetto ed è destinato sicuramente a grandi cose, quest’anno ha rilasciato altri due progetti (in particolare è da segnalare l’ultimo uscito EL ULTIMO TOUR DEL MUNDO), ma YHLQMDLG ha quel qualcosa in più che lo distanzia dal resto dei colleghi e lo piazza alla pari di artisti più elevati e blasonati nel percepito. 

King Krule – Man Alive! 
di Denys

L’album dalle atmosfere tetre, sognanti e talvolta iraconde del ventiseienne King Krule (Archy Ivan Marshall) credo che calzi alla perfezione con lo strano 2020 che sta volgendo al termine. Questo artista è uno dei più originali musicisti britannici contemporanei, la sua miscela di stili è un tratto onnipresente che lo contraddistingue. Anche in questo disco, infatti, il sound non ha regole: spazia dai ritmi graffianti e duri del post punk rock fino a melodie ammalianti jazz a tratti hip hop e sensazioni lo-fi che affiorano tra i suoni inquieti dei sintetizzatori. Tutto insieme per creare un vortice musicale che suscita timore, rabbia e riflessione. Dai testi emergono pensieri sulla solitudine e sullo stato di alienazione disarmante (dicevamo 2020…). Le parole, spesso, si incatenano a formare frasi dai significati nascosti o del tutto assenti, ma va bene così perché come ci dice Archy Marshall nella quinta traccia (The Dream): “Stop making sense of things”.   Man Alive! è stato il mio album preferito del 2020 perché è un crogiolarsi nell’angoscia, nel buio e nella solitudine della propria mente. E immergersi in sentimenti non sempre positivi può far bene. King Krule ci dice che se siamo naufraghi in un mare di difficoltà e incertezze, dobbiamo scendere fino negli abissi per poter riemergere e urlare “Man alive!”. 

Moses Sumney – Græ
di Lorenzo

Album colto, pieno di generi e di richiami. 20 tracce per chi ha un orecchio raffinato e voglia di buttarsi nel cuore delle incertezze umane. Tinte eleganti di puro jazz trovano nel soul e nell’elettronica, a volte più sperimentale, ottime controparti. Scritto da un artista a tutto tondo che ancora una volta ci dimostra quanto vale. Per saperne di più consiglio la nostra recensione completa.

Guè Pequeno – Mr. Fini
di @gobstoevskij

Per quanto riguarda il rap italiano, cito Mr. Fini di Guè per formalità, ma dovrei citare tutta la sua carriera di quest’anno, ogni strofa, ogni feat.
Guè quest’anno ha dimostrato che non serve seguire i trend, gli basta fare la sua roba per spaccare. Non ci sono rapper a cui viene così naturale trovare il giusto compromesso tra rap duro e pezzi da grande pubblico senza suonare pacco, ma il Cosimoney nazionale ha dimostrato di essere diverse spanne sopra la scena, praticamente facendo la strofa migliore in ogni sua apparizione di tutti i lavori usciti nella scena rap del 2020, e sono state tante. E nonostante ciò il suo disco ufficiale ha alzato ulteriormente il livello mentre ora si vocifera debba uscire un Fast Life 4.
Non c’è molto altro da dire, questo è semplicemente talento.
E agli altri non resta che guardare.

Ghemon – Scritto nelle stelle
di Kevin

Questo è il disco dell’anno un po’ made in Italy e un po’ black che potrebbe aprire una nuova finestra di possibilità nella musica italiana. Arricchito, dopo la sua uscita, dal bellissimo feat. con Malika Ayane che ha regalato una splendida versione, ancora più romantica, di Inguaribile e Romantico.
In Scritto Nelle Stelle Ghemon ha rimesso i pezzi al loro posto e va avanti con la pace dell’uomo in cima al grattacielo che può godersi la vastità della città perché si è preso le vertigini in spalla e ha abbracciato l’altezza.
Gianluca scrive ciò che ognuno di noi dovrebbe avere il coraggio di dirsi per fare il cambio di passo, perché si può stare bene anche con i problemi ed i giudizi.

Photo by Raphael Lovaski on Unsplash

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3 risposte a “Il nostro 2020 in pillole: i migliori album”

  1. […] che sarò banale, visto che l’anno scorso sceglievo come disco dell’anno Mr. Fini, ma Guè è il rap in Italia.Il rap quello vero, non quello che deve ammiccare […]

  2. […] da ora uno di quei nomi da segnare sull’agenda salvare su Spotify non solo per riempire le classifiche di fine anno, ma per essere gustato pian piano, per goderselo fino in fondo.Eclettico, maturo, variopinto, […]