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Come rosicare ascoltando 17 di Jake La Furia ed Emis Killa

“Una volta il rap era meglio”, “Questi giovani di oggi della trap hanno rovinato tutto”, “Ma che ne sanno i 2000….”, “Una volta qua era tutta campagna, ora c’è Spotify”, “Non ci sono più le mezze stagioni”, “Il nuoto è uno sport completo”…..
Questo è più o meno il tenore dei pensieri e delle opinioni che girano, sia in generale quando si parla di rap/musica, sia ora mentre raccolgo le idee per scrivere riguardo questo ultimo disco di Emis Killa e Jake La Furia, 17, sicuramente uno dei dischi in uscita su cui c’era attorno più hype e aspettativa. E ora che l’ho ascoltato più volte questo weekend i dubbi sono i seguenti: “Ha senso continuare ancora con queste diatribe rap vs. trap/nuova scuola vs. vecchia scuola?”, oppure “E’ lecito aspettarsi continua evoluzione da artisti che il meglio l’hanno dato più in gioventù?” piuttosto che “Quanto è difficile accettare che i propri idoli invecchiano?”.

Entriamo nel vivo del discorso. 17 è stato preannunciato da una serie di post sui social dove il messaggio chiaro che veniva trasmesso era uno: questo disco è rap, duro e puro. Ecco, questa affermazione si rivela importante ai fini della valutazione del disco in quanto è legata all’idea del rap duro che hanno sia gli artisti in questione che gli ascoltatori.
Per quanto riguarda il lato puramente tecnico, però, possiamo dire che i due protagonisti il rap lo sanno fare. Cazzo se lo sanno fare. La prima traccia Broken Language è un tripudio di aggressività e barre, come non se ne sentivano da un po’ ultimamente. E questo è il tenore di grossomodo tutto il disco, che si riassume in una prova di forza impeccabile di Jake ed Emis, ormai due veterani del rap che in quanto rime e flow possono dare lezioni a tutta la scena, sia quando si tratta di fare pezzi ignoranti, sia quando si tratta di qualche episodio più sentito come ad esempio in tracce come Amore Tossico o Medaglia.

Se ci soffermassimo quindi su questo, il disco sarebbe ineccepibile; tuttavia i “problemi” iniziano a porsi se osserviamo il lavoro dal punto di vista dei contenuti. Ora chiariamo, io non sono uno di quelli che scassa il cazzo sugli argomenti del rap e pretende che il rap debba insegnare qualcosa o far riflettere, anzi sono ben gasato se posso sentirmi una bella sequela di rime ignoranti. Tuttavia non capisco il senso di lamentare (stando alle dichiarazioni dei due rapper perlomeno) una scarso spessore da parte della nuova scena rap/trap e poi praticamente rilasciare una serie di tracce dove si parla solo di cocaina, scopare, criminalità e, dulcis in fondo, l’argomento massimo del rap italiano degli ultimi anni che unisce giovani e meno giovani: gli amici che fanno brutto (tematica questa ben diffusa in tutto il disco e addirittura con un pezzo ad hoc Gli Amici Miei).

La sintesi

Fa un po’ sorridere quindi il volersi elevare sopra il resto della scena attuale e poi praticamente offrire lo stesso spettro tematico di un qualunque rapper random degli ultimi anni e soprattutto fa sorridere pensare che tutto questo provenga da due artisti che nei loro anni d’oro venivano a loro volta tacciati di essere il rap più frivolo e “commerciale” (come si usava dire al tempo) mentre ora si ritrovano dall’altra parte della barricata.
Il vero “punto debole” del disco in sostanza è questa mancanza di una direzione ben precisa e di un punto focale che rischia sia di creare un effetto di ridondanza sia di rendere Jake La Furia ed Emis Killa una specie di parodia di loro stessi confinati in un immaginario “gangsta” spinto all’eccesso.

Per dire, ascoltando le barre di pezzi come Maleducato, l’impressione è che Emis Killa si sia fatto un giro in qualche gruppo Facebook stile “Pastorizia ecc.” e abbia fatto scorta della loro “perle” più becere, che si riassumono in perle di dubbio gusto dal sapore vagamente sessista e omofobo. Certo, sono cose che una volta erano largamente diffuse nel genere, ma ora i tempi stanno cambiando. Che piaccia o meno. E non so quanto possano essere accettate al giorno d’oggi o risultare provocatorie (che immagino fosse l’intenzione originale). Piuttosto il rischio è che il tutto acquisti un tono inutilmente grottesco*.
Chiariamo, non penso ci debbano essere censure nel rap, puoi attaccare chi vuoi per quanto mi riguarda, ma almeno fallo in modo originale.

Per carità, tutto questo è un’analisi prettamente pragmatica e razionale e immagino che il pubblico di riferimento di 17 non si faccia troppi problemi su ciò, anzi magari è pure valore aggiunto. Il dubbio che rimane è che magari con un’idea più mirata e più ragionamento, poteva uscire un disco diverso. Se si vuole offrire una valida alternativa alla trap più banale dei giorni nostri forse la soluzione sarebbe cercare di portare qualcosa che renda il rap vecchio stampo più attuale e fresco mantenendo comunque credibilità (un bell’esempio è Mr. Fini di Guè Pequeno, di cui ho parlato qui), anziché fare un lavoro che, pur ben fatto, semplicemente mette il punto su quanto è già stato fatto in passato prendendo una posizione fine a se stessa. Ma vedendo le ultime interviste rilasciate è chiaro che né Jake La Furia né Emis Killa volessero far fare un nuovo step al rap italiano, volevano soltanto fare un disco che piaceva a loro, fregandosene di tutto, che siano la pubblica opinione o le classifiche.

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Un po’ mi dispiaccio a scrivere certe cose, perchè sono certo che se questo disco fosse uscito 10 anni fa ora sarebbe uno dei miei preferiti, forse addirittura un classico, ma ora che crescendo tende a sparire il fascino per l’attitudine da malandrino, questo disco trasmette più un fascino vintage, un po’ un vecchio “dinosauro“. E questo forse, a conti fatti, è la roba più figa di tutto questo discorso, sebbene – perlomeno a me – rimanga quel pensiero su cos’altro avrebbe potuto essere 17.

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*Ritiro tutto, qualcuno a queste provocazioni ancora ci casca…