Discoteche aperte, discoteche chiuse, il ritorno del covid e la colpa dei giovani. Settore in crisi. Settore in ginocchio. Chiudere dopo Ferragosto è “come guardare Sanremo quando Bugo è già andato via”, citando Lodo Guenzi. La mascherina dopo le 18 perché prima il virus non è pericoloso. Nella corrida di questi giorni, nel suo significato più vicino a quello di dilettanti allo sbaraglio, è forse il caso di fare un po’ ordine, e sottolineare come se anche le discoteche chiudono, i concerti vanno avanti e questa è una conquista da non dare per niente per scontata, anzi.
Ma è giusto analizzare questa folle estate dal punto di vista degli eventi, sottolineando proprio la differenza tra un evento in discoteca e un concerto o un festival. Perché no, Elettra Lamborghini non ha annullato concerti, sono abbastanza sicuro che rientrassero sotto la voce dj set, con l’ereditiera in veste di vocalist e basi messe dalla consolle. Quindi sì, è doveroso fermarsi un attimo e provare a ragionare nonostante le alte temperature del sole d’agosto.
Un virus a ore
Liquidiamo immediatamente il bieco e gretto sarcasmo dietro alle critiche dell’obbligo di mascherina dopo le 18 e fino alle 6 del mattino. No, non è perché il virus è pericoloso solo dopo le 18. No non è una norma fatta per i giovani. No, non è superfluo specificarlo. Dopo le 18 ci sono gli aperitivi, le serate, le cene, gli assembramenti. Le discoteche sono chiuse ma le persone sono comunque in giro e visto che nelle discoteche si è dimostrato che è impossibile rispettare le regole, tanto vale provare a farle rispettare in strada.
E non vale solo per i giovani, vale anche per lo zio Tonino di anni 73 che mette la mascherina per proteggere il suo doppio mento invece che la bocca e il naso, vale per Maria, la mamma di famiglia che esce a mangiare il gelato la sera parlando male dei figli dei vicini e lo fa sputacchiando verso il suo pubblico di curiosi con la mascherina sul gomito. Già, non ci sono limiti d’età tra le 18 e le 6, la mascherina la devono portare tutti.
Ce n’è Coviddi
È tutta una questione culturale, perché quanto scritto da Linus sull’argomento è da applausi, assolutamente (se te lo sei perso lo trovi qui), ma parte da un presupposto molto triste. Chi va in discoteca non è disposto a rispettare le regole e fare sacrifici, gestori compresi. Perché se le foto circolate in rete mostravano gente festante senza mascherina e ammassata, la responsabilità per la mancanza di mascherina è sicuramente del pubblico, ma se c’è una ressa è perché i limiti di capienza non sono stati rispettati dai gestori in primis.
Poi possiamo sicuramente considerare la leggerezza degli artisti che non hanno rinunciato al selfie dal palco per immortalare i sold out, data in pasto ai social come un qualsiasi colpevole che decide di andare a costituirsi alla polizia, senza sapere che questo comporterà delle conseguenze.
Ma non potrebbe essere altrimenti in una società dove la tizia di Mondello, miss “non ce n’è coviddi” è diventata un’icona, c’è chi se la tatua addosso, con il suo mantra annesso. Siamo il popolo del negazionismo, che se viola la legge e resta impunito è convinto che la legge non sia valida e quindi continuerà a non rispettarla. Non c’è buon senso, c’è solo il timore della pena. Stavamo chiusi in casa non perché fosse giusto, ma perché temevamo il giudizio dei vicini e la multa da 4000 euro. Per questo le discoteche si sono riempite: perché nessuno ha impedito che accadesse. Perché nessuno dei presenti si è sentito in difetto dato che non ha visto limiti fisici, ma li ha solo, forse, letti nelle varie ordinanze.
E quindi il settore è sul lastrico? Viene quasi da pensare alla formica e alla cicala. Sarà perché parliamo di un settore stagionale, in molti casi, ma si è voluto far cassa subito, invece che lasciare segnali di presenza, di apertura, a capienza ridotta, ma salvaguardando la continuità. No, si è scelta la strada del tutto subito, fin quando fa male, fin quando ce n’è. Ed è andata male. Potevano essere chiuse prima? Forse. Ma resto dell’idea che poteva essere gestito meglio il controllo. Monitorare molto per punirne qualcuno e salvaguardare tutti. Piuttosto che monitorare nessuno, per punire tutti. Ma tant’è. Ormai è andata.
Il live è un altro mondo
Ma eccola la vera svolta di questa estate 2020. I concerti proseguono nonostante le chiusure delle discoteche! Niente complotti, niente sviste, niente di tutto questo. È semplicemente la vittoria della categoria del mondo dello spettacolo dal vivo. Quel mondo che ha visto per la prima volta un bando ministeriale da 10 milioni di euro rivolto a “Live club e Festival”, due parole sconosciute alle istituzioni e testi istituzionali pochi mesi fa.
Loro, i live club e Festival potranno continuare a organizzare e proporre i propri eventi. Perché questo è possibile? Ancora una volta, è tutta una questione culturale. E non credo sia un caso se in molti dei Festival organizzati questa estate Sky Arte sia partner, ed è bello pensare che ci sia un qualcosa di romantico nel boom dei concerti all’alba, quando le discoteche chiudono per limiti di orario più che per normative punitive. Il mondo del live ha confermato la sua portata culturale e di sensibilizzazione verso la prevenzione dal virus. Informativa affissa in ogni dove, servizio al tavolo, tecnologia per i menù, per gli ordini, anche nella disposizione dei posti.
In alcuni casi hanno permesso lo sviluppo del turismo stesso: lo sanno bene dalle parti della Valle d’Aosta, dove hanno organizzato Musicastelle Outdooor. Le location dei concerti, sempre diverse, erano valli ad alta quota naturalmente spaziose e sicure. Per un’esperienza che ha unito musica e natura avendo cura della salute dei partecipanti, attuando misure di sicurezza e stabilendo buone norme da seguire. Quattro concerti, quattro sold out: Diodato, Brunori Sas, Elodie, Niccolò Fabi. Cultura e turismo, un binomio perfetto, con la natura a fare da distanziamento sociale per eccellenza.
Ma ci sono tantissimi altri esempi, anche in province come Varese, dove nel proprio capoluogo si è organizzata una rassegna dove il cambio di capienza era lampante con l’obbligo di lasciare una sedia vuota tra una persona e l’altra. Questo significa rispettare la situazione, rispettare sé stessi e rispettare gli altri. Questo è fare cultura. Questo, però, rischia di diventare fare mecenatismo. Perché con le spese di un evento che restano pressoché invariate (se fatte in regola), e la capienza che si dimezza, ecco che i margini di guadagno per un organizzatore si riducono all’osso.
Meglio un uovo oggi o una gallina domani
E quindi che fare? Proviamo a fare i furbi e riempiamo le tasche fin quando possiamo? Oppure diamo piccoli segnali di presenza, garantiamo cultura e intrattenimento alle persone e ai giovani, evitando che si sbronzino nelle piazze con una spesa fatta di alcolici sottomarca? È l’estate dove l’obiettivo è non andare in perdita: sia che si parli di economia, che di vite umane. Perché tutto questo finirà, finirà di sicuro. Ed è il momento di fare delle scelte personali, non solo perché qualcuno ce lo ordina. Gli organizzatori dei live hanno preso una strada, il mondo dei club un’altra. Giusto o sbagliato non sta a chi scrive stabilirlo. Le conseguenze delle scelte sono sotto gli occhi di tutti. Un sogno però ce l’ho, vedere ancora mascherine sul gomito, ma per coprire il tatuaggio della tizia di Mondello.
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