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Il malinconico tragic pop di Nervi

nervi

Mi è capitato spesso in giorni alterni, dall’umido caldo estivo prealpino sino al gelido inverno della provincia, di discutere di musica, come facciamo tutti. Fortunatamente abbiamo, spesso, questo genere di scambi con chi conosce i nostri gusti, o almeno prova ad intuirli, e così, di punto in bianco, mi venne consigliato Nervi.
Ai tempi (parliamo di giugno) vi era un solo suo brano in circolazione e io mi avvicinavo a quest’ultimo con una buona dose di scetticismo. Dopo un primo ascolto distratto riesco a capire una sola cosa: ha bisogno di una seconda chance. Giorni dopo, in casa al sicuro, mi decido a riprenderne l’ascolto, stavolta con maggiore attenzione. Dopo qualche manciata di secondi mi sono ritrovato in qualcosa di inaspettato e insolitamente prelibato. Ma partiamo dal principio.

Nervi, all’anagrafe Elia Rinaldi, è una delle promesse cantautorali più interessanti degli ultimi anni. Alle spalle ha un nutrito background di esperienze – anche internazionali – fatte tra dischi e concerti tenuti in quasi tutta Europa. Dalla sua band fiorentina, i Finister, in cui è entrato nel lontano 2009, si distacca solamente nel 2019 per intraprendere un percorso differente, seguendo una sua nuova esigenza. Nasce così il suo progetto solista dove l’inglese è sostituito dall’italiano e il suo passato da rocker è tinto di sonorità contemporanee e richiami agli amati anni ’60 nostrani.

Da subito viene notato. Tanto che il brano con cui si è affacciato sul mercato musicale italiano dal titolo Sapessi che cos’ho, si classifica molto bene in svariati contest sino ad ottenere una relativa consacrazione al Primo Maggio Next di questo 2020. Il contest, basato sull’omonimo concertone, è una facciata privilegiata dove i volti nuovi hanno occasione di presentare le loro opere in anteprima, sfruttando un palco importante come questo e il suo vasto pubblico.

Sapessi che cos’ho, è un brano corposo. La chiave di lettura è quasi impostata dal suo autore, almeno a livello narrativo, che si mette completamente a nudo. Non c’è un ordine temporale o morale, semplicemente si racconta da sé. I richiami psichedelici tra i synth languidi e distesi, gli effetti della voce che ne mutano quasi il carattere e le chitarre acustiche che accompagnano delicatamente l’onda di emozioni hanno un risultato sorprendente: ha fondamenta in un passato ben delineato, anche se buio, per riaffiorare in un presente nebuloso ma non per questo confuso. Sapessi che cos’ho, insomma, è un ottimo biglietto da visita.

A seguire, il 10 luglio 2020 esce un secondo brano di Nervi, Il Veleno, che nuovamente ci risucchia in un trip atemporale dettato da ritmi tragic pop. Nuovamente ritroviamo accorgimenti che già si erano ritagliati una buona fetta della mia attenzione al suo debutto. La voce distorta, distante, l’atmosfera profondamente malinconica, l’utilizzo di quei synth distesi… Questo può darci un’idea di quali siano i suoni che Elia va cercando nella sua personale evoluzione, come compositore e musicista. Questa volta però ci regala immagini molto più nitide, anche come ispirazione, calcando maggiormente l’orma lasciata da Battisti e da Tenco. Sulla scelta sonora però si fanno strada influenze più contemporanee e dal gusto esteticamente pop. Il tutto ben strutturato su una sostenuta firma chiaramente rock, di quello bello e vecchio che da tempo pare ritornare, latente sotto altre forme in questi ultimi anni sulla scena musicale contemporanea.

Il lato-b di Il Veleno invece è una cover di Quei Giorni insieme a te di Ornella Vanoni con un respiro particolarmente attento agli orchestrali, sempre rimarcando l’intenzionalità a spingere verso quello che, a merito, è stato definito più volte tragic pop. Ancora una volta la malinconia è il sentimento predominante.

Insomma, a discapito della giovane età, Nervi è un progetto solidissimo. Ora c’è da seguire con molta attenzione le sue prossime uscite. Assolutamente lecito aspettarsi ancora molto da questo cantautore fiorentino, ma, senza dimenticare che ha bisogno del suo tempo per metabolizzare la sua empatia e farla venire a galla in tutta la sua complessità. Una complessità che si esprime con tinte offuscate, cupe, dense come un ultimo cocktail dopo una lunghissima serata.

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