E basterebbe questo, un titolo d’impatto chiaro e semplice. Non ci sarebbe altro da aggiungere, ma andiamo con ordine. L’opinione diffusa, da quando si è presentato a Sanremo due anni fa con la hit Rolls Royce, è che Achille Lauro sia un artista completo che sta compiendo una rivoluzione musicale incredibile e contemporaneamente scardinando tutte le fondamenta della mascolinità tossica (la stessa portata avanti da lui stesso nei suoi primi lavori, temo) diffusa nel rap da cui proviene e nella musica in generale. Questa, perlomeno, è la versione ufficiale che piacerà ai fan e all’ufficio stampa. Tuttavia, da esterno, la situazione che vedo è la seguente: Achille Lauro, dopo un trascorso interessante nell’ambiente rap/urban costellato di lavori pregevoli, un giorno si sveglia e dice una cosa tipo “Sapete, sto personaggio malandrino che ho raccontato in questo periodo ora mi sta stretto. Adesso sono un personaggione sopra le righe immerso nel mondo dell’arte e della moda gender fluid…. Ah e già che ci sono in realtà sono anche figlio di un magistrato”, quindi inizia a pompare all’inverosimile questo suo nuovo immaginario, fatto di outfit e trucchi che gli permettono di distogliere l’attenzione dal fatto che per due anni di fila porta a Sanremo la stessa identica canzone e, dulcis in fundo, rilascia ora un secondo disco di ben 7 tracce che in realtà sono rifacimenti di vecchi brani dance di successo degli anni ’90, venendo quindi a mancare il fattore novità che personalmente mi aspetto da chi sta compiendo una suddetta rivoluzione.
Ora, Achille Lauro potrà sembrare un sovversivo giusto al pubblico di Mara Venier a Domenica In, ma a una certa a mio parere parlano i fatti e, nel caso di chi fa musica, le canzoni. Serve sostanza in quel senso. Ebbene, non mi pare che ci sia un qualunque pezzo di Achille, dopo Rolls Royce, che sta facendo vagamente parlare o discutere: è letteralmente tutto fermo a quel momento, nulla è cambiato da quel Sanremo. Certo, per carità, non si tratta di brutta musica, sia 1969 che 1990 sono dischi che si lasciano ascoltare (vabbè che col secondo gioca maledettamente facile…) ma finisce qua. Musica usa e getta, si ascolta e si lascia andare. Nulla di rivoluzionario, tutto standard come si addice a un prodotto di mercato quale l’attuale Achille Lauro. Perché parliamoci chiaro, essere eccessivamente paraculi non è una forma d’arte e se la tua musica non regge il passo del tuo personaggio prima o poi qualcosa smette di funzionare. Perché Achille può ispirarsi a David Bowie e alla sua estetica quanto vuole, ma Bowie ha fatto canzoni e dischi che erano qualcosa di nuovo e mai visto per l’epoca, innovativi sul serio e che sono rimasti nel tempo. Questo fa di lui un Artista.
Se invece viene a mancare tutto questo apparato musicale, forse non è artista la parola giusta per definirti. Magari meglio qualcos’altro, tipo che ne so…. Ah sì…. Finto.
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