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PUNISHER E L’ANIMA INDIE SOUL DI PHOEBE BRIDGERS

Phoebe

Chissà se a così pochi giorni dal solstizio – non ci sbilanciamo su una data certa per non essere immediatamente censurati dalla comunità scientifica – possiamo già dare un merito al disco anti-estate.
Questo ovviamente vale per tutti quelli che associano subito il caldo con le canzoni alla radio del genere che comincia con la “R” ma che non voglio esprimere proprio adesso che dobbiamo aprire la parentesi Phoebe Bridgers.

Bellissima espressione di indie soul. Ma per cercare di inquadrare meglio Punisher, si può partire dal fatto che proprio il brano che dà il nome al disco è una dedica al cantautore statunitense Elliot Smith. E proprio come si può ascoltare e leggere nei testi del defunto musicista, si parla di tante incomprensioni, problemi e amori di periferia.
E’ facile parlare d’amore, quando di questo si è stati tempestati fin dalla giovane età: con storie, esempi e banalmente i cartoni animati. Eppure, ci sono tanti modi di esprimere questo sentimento e altrettanti che restano lontani da ogni cliché. E Phoebe Bridgers, anche con strana ironia, ne riesce a tirare fuori davvero molti. Taluni quasi incomprensibili: immagini che passano come diapositive nella testa dell’artista, che possiamo soltanto stare seduti ad ascoltare e immaginare. Poi ognuno darà la sua motivazione. Sarà banale, ma un bravo artista suscita questo effetto.

La cosa più importante è che questo si traduce magnificamente anche in musica: voce incantevole e base folk. Un folk evoluto anche grazie all’elettronica. Ma solo la base, perché poi c’è tutto. Quasi orchestrale in alcune parti di tante canzoni. Suoni sporcati, cori e seconde voci si alternano per creare una perfetta armonia. Anche quando tutto sfocia in un ritmo psichedelico, come in I Kwow The End, che chiude l’album ma che è molto rappresentativa dello stesso.

Difficile ordinare i pensieri dopo aver ascoltato questo disco. E non lo farò.
Probabilmente anche Florence and The Machine hanno influenzato Phoebe, come si può sentire dal brano più pop di tutti, Kyoto e forse Chinese Satellite diventerà una bella colonna sonora di un film di fantascienza, perché saprà capire tutti coloro che ancora si sentono incompresi sulla terra: “A volte, quando non riesco a dormire, è solo questione di tempo prima che io ascolti le cose. Ho giurato di sentirti attraverso i muri. Ma voglio credere che sia impossibile e che se esco vedrò un raggio traente: vengono per portarmi da dove vengo. Voglio andare a casa”