Il sorprendente album d’esordio de I Cani è uscito nel 2011. Sono passati quasi dieci anni. Ma se all’epoca eri un adolescente confuso, è stato l’album della svolta
Nel 2011 ero una sedicenne di un liceo di provincia. A ripensarci adesso con cognizione di causa, essere me in un liceo scientifico di provincia a sedici anni è stato come vivere una specie di inferno dantesco: ho passato l’adolescenza convinta che DAVVERO NESSUNO MI CAPISSE, se non gli autori dei libri che leggevo solo io e che ovviamente nessuno conosceva. E nessuno li conosceva perché, ovviamente, ero circondata da persone talmente basic che sì e no nella loro vita avevano sfogliato il catalogo punti dell’Esselunga. Tra i tanti esempi, in terza superiore stavo leggendo L’interpretazione dei sogni quando il compagno che mi dava le spalle si gira, osserva piuttosto confuso lo strano oggetto dotato di pagine sul mio banco e mi chiede “oooh maaa, chi è sto F-R-E-U-D?”. Pronunciato proprio così. F-R-E-U-D. Ora mi è giunta voce abbia una laurea in psicologia, ma questa è un’altra storia (che di solito racconto alle cene per risultare simpatica e beffarmi delle ironie che la sorte decide di donarci). Studiare, comunque, mi stava piuttosto sul cazzo, quindi non avevo neanche la scusa di essere una secchiona emarginata. Ero solo una con tanti amici ma non troppa gente da apprezzare davvero. In ogni caso, con la giusta dose di sbalzi d’umore e di incomprensioni, nel 2011 (e non solo) si consumava il mio personale inferno made in provincia.
C’erano nella mia vita alcune rassicurazioni: tra queste, sicuramente la musica e i libri. Che bel cliché. Mi sono ricordata di tutto questo apparato (che avevo ovviamente relegato tra i miei incubi peggiori) perché ho riascoltato Il sorprendente album d’esordio de I Cani – che, per tornare al mio inferno dantesco, è uscito nel 2011. Praticamente quel disco (che inizialmente non era neanche un disco) a settembre deve andare in quinta elementare e i pariolini ora hanno ventotto anni. Mentre lo riascoltavo, dopo tempo che era nel cassetto della mia memoria musicale, mi sono chiesta: come ci siamo arrivati qui? Ma soprattutto, io come ci sono arrivata qui?
Era un mondo diverso. La decade che è trascorsa ha fatto sì che nel frattempo cambiassero, in primis, i social: Facebook, (ora morto sotto le sferzate dei parenti sessantacinquenni e complottisti che condividono le protezioni contro il 5G) era un ambiente florido in cui amicizie in carne ed ossa convivevano con quelle virtuali. Era il territorio ideale per mostrare agli amici reali che tu non eri esattamente come loro, ma un po’ più avanti (o almeno così ti raccontavi): leggevi cose che loro non leggevano, guardavi film che loro non guardavano, ascoltavi musica che loro non solo non ascoltavano – ma che neanche lontanamente apprezzavano. “Scusa com’è il gruppo che ascolti tu? Quello delle luci della fabbrica”. Ed era anche l’ambiente perfetto per battere il cinque agli amici mai visti che, invece, avevano i tuoi stessi gusti e ti permettevano di costruire il tuo piccolo impero di like (non li incontrerai neanche dopo dieci anni, ma li avrai ancora tra i contatti di Facebook).
Il sorprendente album d’esordio de I Cani si sviluppa proprio da questo caleidoscopio pseudo-alternativo, da questo mondo che si destreggia fra Wes Anderson, gli aperitivi, i libri di David Foster Wallace, i free drink, il postpatriarcato, i leggins fluorescenti e una malinconia ostentata. Nel primo lavoro di Contessa c’è tutto quello che vuoi sentirti raccontare quando sei adolescente e non ci stai capendo niente: fai parte di qualcosa, e questo qualcosa è solo tuo. E questo qualcosa Contessa un po’ lo sfotte e un po’ lo esalta. Proprio come fai tu al liceo che, ok, sei così. Ma spesso sei anche la caricatura di te stesso. Perché hai sedici anni e non sai davvero come comportarti.
Così trovi quest’album su Youtube e lo inizi ad ascoltare. Lo condividi sul tuo profilo, i tuoi amici dell’internet apprezzano. Ti fai un selfie e metti come caption: “Nichilisti col cocktail in mano che / sognano di essere famosi come Vasco Brondi / che appoggiato sul muro parla con la ragazza di qualcuno”. Lo fai ascoltare ai tuoi conoscenti, ma non gli piace. Meglio, ti dici. Vuol dire che è bello. Stronzi. Hai sedici anni. E quando ne avrai venticinque non ti mancherà il liceo, ma ti mancherà riascoltare Il sorprendente album d’esordio de I cani con lo stesso cuore di quasi dieci anni prima.