I due cantautori siciliani con I Mortali scrivono un capitolo importante della propria carriera. Hanno messo in campo tutta la loro maturità artistica e la propria esperienza acquisita per un prodotto che varia dallo scuro abito di Colapesce sino al candido di un Dimartino poco distante, o così almeno appare sulla copertina del loro album. Non sono loro due, però, gli unici protagonisti. L’occhio si trova quasi subito ad interrogarsi sullo scenario in secondo piano: tra la sabbia è difficile cogliere dei contorni netti e la miriade di sfumature interne alla foto, ma basta un poco di attenzione per scoprire disegni e tratti poco prima ignorati.
I Mortali ha due registri: uno bianco e nero, di facile assimilazione, mentre l’altro è ricco di colori e sfumature mediterranee – tanto che il susseguirsi di storie e sensazioni è incorniciato perfettamente da immagini riconducibili alla loro amata terra natia. La nitidezza che evocano alcuni versi come «Dei bambini annoiati sulla scala dei turchi / Si abbandonano sereni a una gara di rutti» si alterna all’aria calda che sale dal suolo scottato dal sole sbiadendo l’orizzonte, suscitando nell’ascoltatore ricordi adolescenziali riconducibili a spiagge dalla sabbia finissima, popolate da stranieri arrossati. Eppure queste sensazioni vengono vissute con vitale trasporto, narrate da un dire maturo e accompagnate da un guardarsi alle spalle in direzione della propria fanciullezza, ma non come pura nostalgia, piuttosto come nodi focali facenti parte di una stessa corda. Quella della carriera di Colapesce e di Dimartino.
Il duo pare parafrasare perfettamente una delle più emblematiche e controverse frasi di un loro conterraneo, Giuseppe Tommasi di Lampedusa, che per bocca di uno dei suoi personaggi del celebre Gattopardo – il giovane Tancredi – dirà: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, tutto deve cambiare». Un progetto affiatato, il loro. Caldo, come la Sicilia e che non nasconde l’ambizione di portarli ancora più avanti, di poter far conoscere la propria musica fuori dai confini sicuri in cui si erano rifugiati e che ora paiono essersi fatti stretti per entrambi. Ne è testimonianza un lavoro di produzione enorme, dovuto anche alle molteplici mani che vi hanno lavorato. Il disco è infatti prodotto da moltissimi: da Federico Nardelli a Giordano Colombo, passando per Mario Conte, Mace e Frenitik&Orang3, ma suona decisamente organico, come se fosse registrato da una band rodata da tempo.
Le sonorità dei loro lavori precedenti paiono rivoluzionate alla ricerca di arrangiamenti dalla chiara impronta itpop, più adatti al gusto moderno con una continua ricerca a ritornelli potenti da cantare a squarcia gola. Nei brani è stata sacrificata la sperimentazione, almeno quella strettamente musicale. Se da una parte espongono gli ormai canonici bassi dance, il largo utilizzo di batterie anni 70s e gli immancabili Juno, dall’altra il loro mescolarsi non ha un risultato scontato, per quanto resti chiaramente orecchiabile. Non è esattamente il disco più originale dell’anno sotto questo punto di vista (con i suoi richiami piuttosto evidenti alle atmosfere dei Tame Impala, per esempio), ma resta un lavoro interessante – anche grazie allo sforzo nel mantenere il proprio stile canoro (quello con cui li abbiamo già conosciuti), non privo di nuance contemporanee sopratutto tra le ultime tracce dell’album.
Un lavoro coerente che, passo dopo passo, guida l’ascoltatore in un viaggio profondo all’interno di una narrazione sfumata e completa, nutrita da una buona dose di empatia che permette di dipingere un immaginario vasto senza risultare opprimente. Il cantautorato di Colapesce e Dimartino da I Mortali ne esce ancor più rafforzato, conscio di una maturità raggiunta da tempo ma non per questo immobile; fedele alla propria evoluzione, anzi, palesa un costante impegno di crescita costante. I testi sono incentrati interamente sulla figura umana, sulla sua dimensione evolutiva e sul suo modo di interrogarsi sul mondo. Un lavoro a quattro mani, in definitiva, che spazia dalla terra al cielo, passando per il mare, nel tentativo di suscitare emozioni pienamente alla portata di tutti, il cui risultato è indubbiamente riuscito. Sicuramente tra i progetti cauntautorali pop più profondi usciti quest’anno in Italia.
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Una risposta a “«I MORTALI» DI COLAPESCE E DIMARTINO RACCONTA LA MATURITÀ SICILIANA”
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