Quando la musica si unisce allo sport, è subito magia. Inauguriamo oggi la rubrica Falso Nueve: se anche tu sei un inguaribile romantico, saprà raccontarti l’emozione di analogie e rimandi tra due mondi solo apparentemente lontani. Il primo parallelismo tratta dell’imprevista quasi-vittoria di Carella e della Nazionale del 2016.
Lunedì 13 luglio 2016, ore 21,00.
Parc Olympique Lyonnais di Decines-Charpieu, Lione, Francia.
Giovedì 11 gennaio 1979, ore 22,45.
Teatro Ariston di Sanremo (IM), Liguria, Italia.
Due palcoscenici molto diversi, uno d’erba e l’altro di teatro. Due eventi che incollano gli italiani alla televisione.
Il primo è la partita di debutto della Nazionale italiana di calcio agli Europei 2016, disputati in Francia. Il secondo è la prima serata della ventinovesima edizione del Festival di Sanremo, che vide il debutto sul palco fiorito di uno dei più sottovalutati cantanti italiani, Enzo Carella.
Già prima dell’inizio, la Nazionale e Carella hanno qualcosa in comune: nessuno si aspetta che vincano (e infatti non vinceranno). La Nazionale arriva all’Europeo guidata da un allenatore vincente e carismatico, ma ancora a digiuno di trofei internazionali. A reggere la baracca, il reparto di difensori centrali più forte del mondo e Buffon. Avrebbe un centrocampo stratosferico, ma due dei tre titolari (Marchisio e Verratti) sono infortunati. Al loro posto e in tutti gli altri ruoli schieriamo una serie di giocatori senza infamia e senza gloria: alcuni considerati fenomenali quando avevano vent’anni e rivelatisi “forti ma normali” col proseguire della loro carriera, altri affermatisi davvero solo dopo i 25 anni. La pressione dei tifosi sugli Azzurri è tanta, come sempre, ma nessuno ci spera più di tanto. La prima partita, per giunta, è contro una delle nazionali più fresche e talentuose al mondo, che può permettersi di accomodare in panchina giocatori come Mertens e Carrasco.
L’Europeo dell’Italia, insomma, può iniziare nel peggiore dei modi (come tutti i pronostici suggeriscono) o nel migliore. Nainggolan prova subito una delle sue fucilate che tante vittime hanno mietuto, ma non gli viene benissimo e Buffon para. Poco dopo, Bonucci azzecca un lancio al bacio per Giaccherini – simbolo di tutti i giocatori “mediocri” presenti negli schieramenti azzurri, la cui convocazione aveva scandalizzato più di ogni altra molti appassionati – che col sinistro la controlla e col destro la mette in porta. Contro ogni aspettativa è 1 a 0 per noi: birra rovesciata ovunque sull’arredamento anni ’70 delle case degli italiani. La partita prosegue vivacissima, entrambe le squadre vanno più volte vicine al goal (i cuori tricolori saltano tre battiti su un contropiede che porta Lukaku solo davanti a Buffon). Grandi parate, tiri insidiosi, Immobile che entra e fa il panico, e un’azione che è una perfetta rappresentazione di questo grande grande paese: la palla arriva in area, rimpalli su rimpalli, nessuno ci capisce nulla, nessuno fa nulla di concreto per risolvere il problema, ma alla fine in qualche modo la sfanghiamo. A chiudere i conti, una sassata al volo da due passi del principe delle mamme Graziano Pellè su assist del pària per eccellenza, Antonio Candreva.
Altrettanto inaspettato fu il secondo posto raggiunto da Enzo Carella in quel Sanremo di tanti anni fa. Non sperando affatto nella vittoria, Carella affronta la sfida a cuor leggero e accoglie ogni progresso in classifica come un’imprevista provvidenza. Commenterà così il suo stato d’animo durante la kermesse:
Io, in virtù del mio carattere giocoso, riuscii a tenermi fuori dall’andazzo generale, conservando una certa allegria e leggerezza.
La sua Barbara arriva seconda e lo porta alla celebrità. La canzone ha molto successo, fino a quel momento è la sua punta di diamante: Carella lo sa e, infatti, intitola il nuovo album Barbara e altri Carella. Barbara e altri Carella è una delle vette più alte raggiunte da un rapporto – quello tra sound anni ’70/80 e cantautorato italiano – che ha sì regalato alcune gioie, ma che spesso ha avuto risultati pigri e scadenti. Il disco comincia alla grande con Barbara, un successo insperato tanto quanto la vittoria degli Azzurri sul Belgio. È un pezzo strano, danzereccio, fuori dagli schemi sanremesi. Le parole e il modo in cui vengono cantate ricordano tanto quelle frasette sceme e dolcemente insensate tipiche delle chiacchiere degli innamorati tra le lenzuola.
Ai successi in apertura del disco e dell’europeo seguono altre canzoni e altre partite. La Nazionale italiana è una squadra storicamente brutta da vedere, che fatica moltissimo a segnare, e questo leitmotiv torna già dalla seconda partita un’Italia, durante la quale le occasioni sono pochissime. Bonucci prova troppe volte a replicare il lancio riuscitogli contro il Belgio, la Svezia rischia più volte di passare in vantaggio, ma alla fine – grazie a un goal delizioso del tanto criticato Éder – la portiamo a casa. In effetti, contro la Svezia e in Foto, la seconda partita e il secondo brano del disco, i toni hanno si incupiscono, ma il risultato arriva comunque e c’è ancora tanto amore.
L’Italia, infatti, è qualificata agli ottavi. Siccome la qualificazione ha reso inutile l’ultima partita del girone, Italia-Irlanda, Conte decide di schierare una formazione molto diversa, composta di riserve giovani e affamate. Sulla carta è una formazione – almeno dal centrocampo in su – più talentuosa di quella titolare (Insigne, Immobile, Bernardeschi, El Shaarawy), tanto che si vedrà un’Italia ben più propositiva e dinamica di quella scesa in campo contro la Svezia. Molti di loro, tuttavia, non hanno mai giocato insieme, tanto meno in quel sistema di gioco; il risultato è che il goal non arriva e gli irlandesi, dopo aver bucato a più riprese la difesa azzurra, portano a casa la partita grazie a un delizioso goal di Brady. La terza partita, insomma, è molto diversa dalle altre, proprio come Amara, la terza traccia di Barbara e altri Carella: contraddistinta da un’afflizione disillusa e da una ruvidità inedita nella voce, questo pezzo si distingue nettamente dalle altre canzoni. In Amara, La vena nostalgica onnipresente nel disco prende il sopravvento, così come – contro l’Irlanda – l’Italia paga i difetti già mostrati nelle partite precedenti.
Alla quarta partita, come al quarto pezzo di Barbara e altri Carella, arriva il capolavoro. L’Italia affronta la Spagna, la superpotenza che ha vinto gli ultimi due europei e il penultimo mondiale, la cui rosa ha un valore complessivo di mercato che supera di diverse centinaia di milioni quello della Nazionale italiana. Ma quella nazionale ha quella cosa lì, chiamala cuore, chiamala pazzia, chiamala come vuoi: l’Italia di Euro 2016 ce l’ha. E così, un’Italia scapestrata affronta a muso duro una corazzata di giocatori di Real Madrid, Barcellona e Atlético. Non è solo col fisico che li sovrastiamo: gli azzurri sono più intraprendenti, più pronti, più precisi. Passiamo in vantaggio con una zampata di Chiellini al 33’ e la chiudiamo con un goal al volo degli zigomi perfetti di Pellè al 91’. Visto che in questo “benedetto, assurdo bel Paese” è vietato gioire senza soffrire un po’, nei 58 minuti tra un goal e l’altro ci divoriamo (anche per via dei miracoli del portiere avversario, De Gea) diverse occasioni per chiudere i conti e più di una volta rischiamo di subire. Alla fine, però, va tutto bene. L’Italia abbatte la Spagna: abbracci rovesciati ovunque nelle piazze italiane.
Allo stesso modo, alla quarta traccia del disco troviamo una canzone sognante, surreale, di una semplicità disarmante, profonda. Malamoreè il pezzo più bello della carriera di Enzo Carella. Se non lo conoscete, ascoltatelo. Lo amerete o vi disgusterà, non ci sono vie di mezzo. È una traccia amabilmente malinconica, autenticamente dolceamara, da ascoltare la domenica nel tardo pomeriggio.
L’ultima partita di quell’Europeo è ancora una ferita aperta, sebbene quello che fu ottenuto andò comunque oltre ogni logica, pronostico o aspettativa. L’Italia fece un miracolo: una squadra devastata (anche De Rossi, l’ultimo reduce del centrocampo titolare, rimase fuori per infortunio) e pertanto improvvisata sfidò con una tenacia impressionante i Campioni del Mondo in carica, tenendo loro testa per 120’ minuti più recuperi, infilzandoli più volte e portandoli fino ai rigori, dove rischiammo di vincere, ma perdemmo (della serie: un 4-0 secco avrebbe fatto meno male). Alla fine fummo eliminati, a riconferma delle parole contenute nel testo di Amara, che descrivono con certosina precisione la storia del sentimento dei tifosi verso la Nazionale:
amarti è amaro un po’.
Chiudiamo questo improbabile parallelo come si chiude il disco. L’ultimo pezzo, infatti, è una piccola perla strumentale intitolata Oh RAI!: così anche noi vi salutiamo ringraziando Mamma Rai, che in quell’occasione ebbe la geniale idea di chiamare al commento tecnico (il “secondo telecronista”) Walter Zenga, così poco adatto al ruolo, così eccessivamente tifoso ed emotivo, così fuori dai rigidi schemi Rai da risultare, paradossalmente, più adatto di molti altri signori ben più professionali passati per quel ruolo.
Commenti
Una risposta a “FAMMI UN MALE TENERO: CARELLA E LA NAZIONALE 2016”
[…] Leggi anche:Fammi un male tenero: Carella e la Nazionale 2016 […]