Tanto, troppo, spesso si sente parlare del gap che separa la scena musicale elettronica italiana da quella di tanti altri paesi (più o meno tutti quelli in cui esiste il libero accesso ad internet ed un computer a portata di mano).
Ma siamo davvero così lontani dagli scenari tedeschi, inglesi e via dicendo?
L’impressione è quella che negli ultimi anni la nostra scena si stia ben popolando, dirigendosi verso nuovi orizzonti, non solo attraverso i club (che amo) e i tamarri della stazioni (che amo ancora di più), ma anche grazie al mainstream, ai cantanti indie, ai festival di provincia, alle colonne sonore di serie TV. In cuor mio ci ho sempre sperato, non sono uno di quelli che diventa geloso se la musica che ascolto in sessione privata su Spotify diventa di massa. “Hai sentito il nuovo disco di Tizio? Bella merda! Io lo ascoltavo da prima che diventasse commerciale, ora è impuro, si è venduto, è sceso a compromessi”.
Fermiamoci, cospargiamoci il capo di cenere e non dimentichiamo che tutta la musica nasce per essere commerciale, per essere venduta. In Italia l’elettronica viene fatta bene e potenzialmente può vendere bene.
In ritardo, è vero, ma pian piano anche questo genere si sta ritagliando i suoi spazi. Forse non saremo mai a livello dei tedeschi, ma ricordatevi che palla tagliata messa fuori c’è Pirlo, Pirlo, ancora Pirlo di tacco, tiro, gol, Grosso, Grosso, gol di Grosso, gol di Grosso.
È un discorso che vale la pena approfondire, anche perché dopodomani venerdì 22 maggio esce W, il nuovo album di Populous (La Tempesta/Wonderwheel Recordings), un lavoro che annulla il distacco con la scena straniera. Un disco che – per la rubrica 7Bello – rientra di diritto nell’elenco dei sette dischi di elettronica italiana che la scena internazionale ci invidia.
Spoiler alert: nell’articolo saranno presenti rimandi ad artisti stranieri per sottolineare come in Italia non ci sia nessun corrispettivo per i nomi che seguono:
POPULOUS – W (La Tempesta/Wonderwheel Rec – 2020)
A tre anni di distanza da Azulejos torna Populous: W vuole essere un omaggio alle donne che negli ultimi anni hanno ispirato il produttore salentino (ecco che scopriamo che “W” sta per “Women”), descrivendo un immaginario musicale femminile libero ed eterogeneo. L’intento è onorevole, certo, ma bisogna pur sempre considerare che, in situazioni come questa, il rischio di cadere nella scontatezza e nella paraculaggine è sempre alto.
Populous ci spiazza, abbandonando le ritmiche afro a cui tanto ci aveva abituati, infittendo la trama del disco con casse in 4/4, percussioni e vocalizzi latini carichi di erotismo, testi onirici e melodie dream pop, senza nasconderci la sua attitudine alla dub. E se dopo aver schiacciato play vi sentite come un cinquantenne brizzolato che gioca con l’oliva del suo martini dry in compagnia di una bionda in minigonna non preoccupatevi, ascoltando l’album verrete trasportati fino alle porte di un locale a Copacabana, pronti a diventare parte integrante di un party eclettico e trasversale, tanto improbabile quanto coerente, dove possiamo diventare i re (o, meglio, le regine) della dancefloor, accompagnati dalla voce ammaliante di Emmanuelle, dalla luce accecante di Lucia Manca, dagli ammiccamenti di Kaleema, dai glitter di M¥SS KETA.
Electronic music will be populous and Populous will be electronic music.
M+A – These Days (Monotreme Rec. – 2013)
These Days è la colonna sonora perfetta da ascoltare in riva al mare, mentre cerchiamo l’infradito puntualmente smarrita, spegnendo l’ultima sigaretta del pomeriggio nella bottiglia di birra vuota prima di tornare a casa. Ascoltarlo a casa in pieno lockdown non è certo la stessa cosa, ma i ritmi tropicali e l’elettronica ultrapop del duo, unita ora al funk ed ora all’hip hop, ti fanno sentire proprio come quando stai per lasciare la spiaggia, con il telo buttato sulla spalla, con i granelli di sabbia nel costume che non ti danno pace, dando la colpa della testa pesante al caldo afoso piuttosto che alla birra. Ma siamo tutti bravissimi a trovarci degli alibi.
Godblesscomputers – Solchi (La Tempesta/Fresh YO! – 2017)
Prepara il piano cottura e concentrati: la ricetta non è semplice, ma il risultato finale sarà da leccarsi i baffi:
- prendi due manciate di Four Tet e mescolale insieme a percussioni africane, scratch e synth analogici;
- aggiungi Gold Panda quanto basta ed impasta il tutto con dell’hip-hop di respiro internazionale;
- condisci con un pizzico di Burial ed una spolverata di nu-soul.
- farcisci con le voci di Davide Shorty, Klune e Inude, inforna e lascia cuocere per 53 minuti
Il risultato riuscirà ad essere apprezzato non solo dai palati più esperti in materia. Solchi è un viaggio indietro nel tempo, un ritorno alle origini con l’intento di portarle ad una nuova modernità, evitando di abbondare, come farebbero i cuochi meno esperti, con le dosi di nostalgici richiami al passato che, se sovrabbondanti, rendono monotoni i sapori del piatto.
Nu Guinea – Nuova Napoli (NG Records – 2018)
Tra funk, jazz e italodisco, Aquilina e Di Lena hanno creato un disco a cui non servirebbe alcun riferimento internazionale per essere descritto.
Potrei citare Motor City Drum Ensemble, ma Nuova Napoli si porrebbe al di sopra di qualsiasi confronto, senza far pesare il gap con la scena straniera di cui parlavo all’inizio dell’articolo. La forza di Nuova Napoli è proprio quella di essere un disco italiano di elettronica. Paradossalmente registrato a Berlino.
Drink To Me – S (Unhip Records – 2012)
C’era una volta Marco, padre di due figli, di giorno professore di storia in un istituto superiore, di notte leader di una band divenuta nota forse solo per essere il primo gruppo di Cosmo, iniziando a far parlare di sé quando ormai era troppo tardi. Peccato che i Drink To Me non abbiano trovato il giusto spazio, sarà per l’inclinazione forse un po’ troppo punkettona che li caratterizzava, ma alla fine è pur sempre vero che “space is the place”.
Jolly Mare – Mechanics (Bastard Jazz Rec – 2016)
I ritmi retrò e l’ecletticismo del produttore si sposano alla perfezione nel disco d’esordio di un Jolly Mare che, con quei richiami alla sensuale italo disco di fine anni ’70, sembra essere alla ricerca di un nuovo “Lunedì Cinema” da lanciare prima che parta uno dei filmoni di Rai Uno.
Riviera romagnola place to be.
Yakamoto Kotzuga – Usually Nowhere (La Tempesta Dischi – 2015)
Kotzuga riesce a farci sembrare un gioco da ragazzi il cambiare registro melodico con così tanta intensità ed abilità. Come se inserire nello stesso album la dub di Burial, i tintinnamenti di Jamie XX e le atmosfere di James Blake fosse ‘na cazzata. Usually Nowhere è un album intelligente, come da definizione vuole essere la musica IDM.
Ma se Yakamoto Kotzuga si fosse chiamato Giacomo Mazzucato lo sentiresti il distacco internazionale dell’elettronica? Via il contropiede con Totti, dentro il pallone per Gilardino, Gilardino la può tenere anche vicino alla bandierina, cerca l’uno contro uno, Gilardino, dentro Del Piero, Del Piero, goool! Andiamo a Berlino?
Commenti
5 risposte a “«W» DI POPULOUS È UNO DEI 7 DISCHI CHE LA SCENA ELETTRONICA INTERNAZIONALE CI INVIDIA”
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